dal Corriere della Sera del 27/04/2006. Autostrade. L’interesse nazionale e quello dei Benetton
L’interesse nazionale e quello dei Benetton Di SALVATORE BRAGANTINI Fa discutere l’incorporazione di Autostrade in Abertis: assomiglia a una vendita agli spagnoli, anche perché segue di poco il mancato rilancio dei Benetton per l’acquisto delle autostrade francesi. Molti i commenti da finanza e politica, per lo più favorevoli i primi, e preoccupati i secondi. Quand’è che un’operazione di integrazione fra campioni nazionali risponde all’interesse generale? In quale ambito tale interesse va misurato, nazionale o europeo? L’interesse nazionale resta il metro giusto, almeno finché non si andrà all’integrazione politica. Le domande-chiave, allora, sono: dove sarà la testa del gruppo? Chi sarà l’azionista di riferimento? Chi avrà la gestione? Quali i patti fra azionisti e la governance? E le sinergie? Cosa cambierà per i clienti? Si sa ancora troppo poco per dare risposte compiute, ma qualche considerazione si può fare, partendo dai fatti. L’amministratore delegato sarà spagnolo, come la componente principale dell’azionariato; non ci sono patti, a parte una prelazione reciproca fra grandi soci. La sede della società fusa sarà a Barcellona, per poter dedurre dalle tasse l’avviamento di Autostrade. Le sinergie possibili sono scarse, così come i benefici per i clienti. Autostrade e ferrovie non sono come i detersivi, sono il monopolio naturale perfetto. Al confronto, la telefonia fissa è il massimo della concorrenza. Il monopolio richiede un regolatore forte, che certo non è l’Anas. Anche per rimediare a situazioni simili, Prodi ha proposto, la scorsa estate, un’Autorità delle reti: per limare le unghie agli oligopoli, che caricano su cittadini e imprese operanti in concorrenza i loro grassi margini. I tacchini non votano per il Natale, si sa; l’Unione ha vinto, e i soci Autostrade proteggono il loro investimento dalle decisioni del regolatore, che domani sarà meno morbido dell’orsetto Anas. Svegliatosi dal suo letargo, questo ora vuol sapere quando saranno effettuati davvero gli investimenti che, nell’attesa, sono già inclusi nella determinazione delle tariffe. Quale lo sfondo dell’operazione attuale? Se il gruppo Benetton, esempio da imitare del miracolo economico, ha preso la strada della rendita, è perché il governo era un venditore debole, obbligato dai numeri di Maastricht: altrimenti la spesa per interessi sarebbe esplosa. La colpa non è di chi ha colto un’occasione unica, ma di chi (Craxi, anni ’80) ha caricato il Paese di tali debiti da costringere a disfarsi di un bene strategico che dà una rendita monopolistica; complice il management, all’epoca più interessato a consolidare il proprio potere col futuro padrone che a far spuntare un prezzo congruo al venditore. Gli azionisti si sono poi costruiti un leveraged buy out da manuale, che ha mandato alle stelle il rendimento dell’operazione. Il beneficio fiscale da detrazione dell’avviamento sarebbe la causa della decisione di porre la sede in Spagna: sulla sua entità girano cifre diversissime. Si vedrà, ma forse gli azionisti Autostrade potevano restituire, via tasse sull’avviamento, una minima parte dei benefici ricevuti. Forse la verità è che Autostrade cominciava ad avere troppo poco debito per i gusti degli analisti, e si poneva il problema di estrarre ancora soldi dalla società senza strepiti regolatori. Una grande fusione italo-spagnola è parsa la soluzione giusta, con annesso dividendo straordinario per i soci Autostrade: è lo zuccherino di solito riservato al venditore. Otto anni fa, scrive Il Sole di ieri, Abertis era poca cosa: oggi forse sta comprando Autostrade. È la differenza fra chi pensa al futuro e chi solo al prezzo di mercato domani, fra chi fa debiti per crescere e chi per spremere le aziende, per di più comprate a prezzo di saldo. Speriamo che col tempo si vedano altri aspetti, per ora si vede soprattutto il desiderio di sottrarsi al risveglio dello Stato come regolatore, e di ottimizzare la struttura finanziaria grazie alla fusione con Abertis, più indebitata. L’amministratore delegato di Edizione, Gianni Mion, merita un monumento in piazza a Ponzano, ma l’Italia non ha motivo di rallegrarsi. Ognuno fa il suo mestiere e interesse, certo, ma forse chi tanto ha avuto dal Paese avrebbe dovuto mostrare un po’ più di generosità: meglio, di lungimiranza. Ora aspettiamo il lavoro di un regolatore vero.27/04/2006
Documento n.5920