DAGOSPIA 26-9-2007 MONTEZEMOLONE ALZA IL DITINO: “CHI EVADE, RUBA” – MA....
DAGOSPIA 26-9-2007 MONTEZEMOLONE ALZA IL DITINO: “CHI EVADE, RUBA” – MA GRAN PARTE DELL’IMPERO HA RAGIONE SAN FURBETTO RICUCCI: “E’ FACILE FARE I FROCI COL CULO DEGLI ALTRI” 1 – IL “LUSSEMBURGHESE” MONTEZEMOLO: CHI EVADE, RUBA "Io a risolvere i problemi dell'Italia con i vaffa... non ci credo". Il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, incontrando gli universitari bolognesi, si schiera così nel dibattitto sull'antipolitica che in questi giorni divide il Paese. E lo fa evitando la facile demagogia: "Non sono di quelli che pensano che tutti i mali del Paese sono nella politica. Altrimenti entriamo in una demagogia e un populismo troppo facili". Certo, riconosce il presidente di Confindustria durante un convegno all'Università di Bologna, "l'antipolitica viene fuori quando la politica è debole e non decide". Ma il numero uno della Fiat mette in guardia dal "cinismo dell'antipolitica e dal disprezzo della politica". Poi aggiunge: "Abbiamo bisogno di una politica forte che ricrei passione nel paese, fiducia, che dia obiettivi, sfide, che parli, spieghi come stanno le cose che punti su concorrenza, merito, dialogo e crescita". Poi l'attenzione di Montezemolo si sposta sul fisco. Ed è una dura condanna dell'evasione: "Finalmente sento dire che non pagare le tasse è scandaloso. Evadere le tasse è rubare". Le tasse vanno pagate, continua il presidente degli industriali, perché "servono a dare dei servizi: come la sicurezza, la scuola, investimenti e ricerca, infrastrutture e ciò che è indispensabile per una paese competitivo". 2 - TE LO DO’ IO IL MADE IN ITALY - DIEGHITO E LUCHINO, NUOVI RE DEL LUSSEMBURGO Fosca Bincher, alias Franco Bechis, per Il Tempo - 1 Luglio 2005 Uno guida la Confederazione degli industriali italiani. L’altro è uno dei simboli del made in Italia. Luca e Diego. Montezemolo e Della Valle. Amici e soci. Uomini-simbolo della generazione dei cinquantenni di questo Paese. Ma non solo in questo, e non è questione di scarpe o di Ferrari. Perché Della Valle e Montezemolo sono anche campioni del Lussemburgo. È la loro seconda patria. Forse la prima, altro che Stefano Ricucci, che lì aveva domiciliato la sua holding di gruppo, ora in corso di trasferimento nel territorio nazionale. Montezemolo e Della Valle sono di casa in Lussemburgo. E anche in Olanda, altro paese abituato a generosi trattamenti fiscali, non scherzano. Il signor Tod’s presenta nel bilancio consolidato della accomandita di famiglia tre holding lussemburghesi, tre olandesi, un svizzera, una ungherese, una a Madeira, piccolo paradiso fiscale del Portogallo e una nella nostra Repubblica di San Marino. L’erede Fiat si accontenta di due finanziarie lussemburghesi e due olandesi. Insieme però sono soci anche nel cosiddetto fondo di private equity Charme, che in realtà si chiama Charme Investments sociéteé anonyme, che in Italia ha acquisito partecipazioni nella Poltrona Frau e in altri importanti società della moda e del lusso. Non che sia una novità nel mondo imprenditoriale italiano. Prima di chiedere al governo di abbassare Irap e tasse ritenute ingiuste centinaia di imprenditori e finanzieri sono abituati ad eludere il fisco espatriando. Ministri come Vincenzo Visco e Giulio Tremonti si sono spremuti il cervello e dannati l’anima per cercare di fare rientrare quei capitali e impedire attraverso la moltiplicazione delle lussemburghesi e delle holding da paradisi fiscali la sottrazione di imponibile in gran parte dovuto alle casse italiane. Ma poco hanno potuto. Ogni volta che nuove norme stringevano le maglie dei controlli, qualche studio professionale aveva già in mano la ricetta giusta per aggirarle. Elusione, appunto, e non evasione. Anche se il Secit e l’Agenzia delle entrate hanno cercato in ogni modo di combatterla o perlomeno di dissuadere alcuni grandi gruppi dal farne uso così ampio. Nella primavera del 2002 una indagine degli ispettori del Secit in collaborazione con la Consob avevano individuato ben 43 grandi elusori della normativa fiscale italiana fra le società che si erano quotate nel triennio d’oro della borsa italiana, quello 1999-2001. La maggiore parte aveva holding di controllo o subholding strategiche in Lussemburgo. Altre in Olanda, Madeira, in Svizzera, nelle Isole Vergini. Secondo il fisco italiano questa scelta di residenza societaria nella maggiore parte dei casi serviva a «estero-vestire» le partecipazioni dei grandi gruppi al solo fine dell’elusione fiscale. Non una scelta illegale, ma certo nemmeno un esempio di trasparenza e di amore per il proprio Paese da seguire. Stupisce vederne così abbondante utilizzo da parte di due uomini simbolo del «made in Italy» come il presidente degli industriali italiani e l’imprenditore marchigiano che spesso si è distinto per ficcanti prediche sulla trasparenza e la moralità del sistema e delle sue istituzioni. Dagospia 26 Settembre 200727/09/2007
Documento n.6831