da Corriere.it (6-3-06) La svolta di Draghi e le risposte della politica. I liberali e i dirigisti
La svolta di Draghi e le risposte della politica. I liberali e i dirigisti Il discorso del Governatore di Bankitalia Mario Draghi a Cagliari ha ricevuto generali apprezzamenti ma c’è in esso un aspetto, sottinteso, che difficilmente i politici recepiranno. Assumendo una posizione opposta a quella del suo predecessore Antonio Fazio, il Governatore ha chiarito che compito di Bankitalia non è proteggere «dal mercato» il sistema bancario ma, al contrario, stimolare le banche a rafforzarsi «sul mercato» attraverso sane aggregazioni, senza che esse possano più pretendere di essere santuari al riparo dalla concorrenza. Quella che Draghi ha delineato è un’interpretazione della propria missione in chiave schiettamente liberale anziché dirigista/paternalista, e che fa della concorrenza una sfida da raccogliere, non da eludere con stratagemmi protezionisti. Il Governatore ha scelto, giustamente, di rimanere nel recinto del proprio compito istituzionale e quindi non ha detto, né poteva dire senza che ciò apparisse una invasione di campo, che se Bankitalia farà la sua parte la politica dovrebbe assumere una identica postura, smetterla di proteggere le mille inefficienze del sistema privato e pubblico italiano, liberarlo dalle storture che impediscono la concorrenza, danneggiano i consumatori e bloccano lo sviluppo ormai dai primi anni Novanta. Ma la politica, che applaude il Governatore, non ci sente da quell’orecchio. Certo, la posizione di Draghi non può non trovare concorde il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, avversario di Fazio e della sua politica iper-dirigista anche in tempi non sospetti e che ora è impegnato a contrastare i rinati protezionismi europei, ma è la classe politica nel suo insieme che non riesce a mettersi a quel passo. Non c’è riuscito il centrodestra nonostante avesse vinto le elezioni nel 2001 promettendo più libertà economica. Berlusconi sembra non comprendere le ragioni della delusione di tanti elettori. Essa dipende dal fatto che nei primi due anni (gli unici che davvero contano) della legislatura, il suo governo, nonostante la legge Biagi e alcune altre buone cose, è rimasto molto al di sotto delle aspettative: non ha fatto le liberalizzazioni necessarie, non ha ridotto la spesa pubblica, non ha aperto alla concorrenza i settori protetti, non ha spazzato via lacci e lacciuoli. E se non c’è riuscito il centrodestra, non è probabile che ci riesca domani il centrosinistra, sia per ragioni culturali (la sinistra ha una vocazione dirigista e propensioni stataliste ancor più accentuate di quelle, pur elevate, della destra) sia per la natura degli interessi rappresentati. Bastava ascoltare la relazione congressuale del segretario della Cgil Epifani per capire quale sarà, assai probabilmente, la musica. In un eccellente articolo, Stefano Micossi (La Stampa , 4 marzo) ha ricordato ciò che i due poli rifiutano di riconoscere, ossia che «l’incapacità di crescere dell’economia (..) ha origine nel miserevole stato delle istituzioni pubbliche, nelle colossali distorsioni determinate dal dilagare del settore pubblico nell’economia, nelle protezioni accordate a piene mani a una miriade di piccoli interessi organizzati (...) nelle scelte gestionali della pubblica amministrazione (...)», in un sistema pubblico impazzito. Ma su queste cose i poli, attenti a non disturbare le rispettive clientele, tacciono. Il sistema bancario ha ora sulla tolda di comando un uomo consapevole delle poste in gioco. Ma può bastare se la politica rifiuta di fare ciò che deve? 06 marzo 200607/03/2006
Documento n.5786