Banche italiane a secco di bond. Cartolarizzazioni bloccate ma gli istituti si rifanno sui clienti

in Rassegna Stampa
di Morya Longo - Il Sole24 Ore Finanza e Mercati 6 febbraio 2011 Se emettono obbligazioni, sono costrette a pagare interessi sull'Euribor cinque volte più alti che nel 2008. Se vogliono raccogliere capitale, sono obbligate a farlo a prezzi stracciati. Se vanno sul mercato interbancario, si devono accontentare di finanziamenti a brevissimo termine. Se vogliono cartolarizzare i mutui, non ci riescono proprio. Per le banche italiane raccogliere liquidità e capitale è diventato un vero problema: l'aumento del rischio-Paese, che rende gli istituti di credito nostrani meno appetibili agli occhi degli investitori esteri, sta sottraendo loro ossigeno (cioè liquidità). Il problema sarebbe gigantesco se gli istituti di credito non avessero due valvole di sfogo: la clientela e la Banca centrale europea. E se non fossero in attesa di un regalo: il rialzo dei tassi in Europa. Perché le banche soffrono, ma alla fine una scappatoia la trovano: far pagare il conto ai più deboli. Famiglie e imprese. Quando il 5 gennaio scorso Intesa Sanpaolo ha lanciato obbligazioni quinquennali, il mercato ha esultato: l'operazione dimostrava che gli investitori internazionali sono ancora disposti a comprare titoli di banche italiane. Peccato che Intesa sia stata costretta ad offrire agli investitori un "premio" di 175 punti base sopra il tasso swap. Cioè un rendimento del 4,216%. Un anno prima, nel gennaio 2010, la stessa Intesa aveva collocato un bond di identica durata pagando tre volte meno: solo 65 punti base. E stiamo parlando di una delle banche più solide d'Italia. Figuriamoci le altre. Tante non riescono neppure ad emettere un bond, come è accaduto al Banco Popolare. Questo è il problema: dal settembre 2008 ad oggi – calcola McKinsey – le emissioni nette bancarie italiane destinate ai mercati internazionali sono diminuite da 58 miliardi medi annui a 41. Contemporaneamente il costo, per le banche, è quintuplicato da 22 punti base medi sull'Euribor a 100. Si dirà: non si vive di sole obbligazioni. Peccato che le altre fonti di finanziamento siano altrettanto aride. Non esiste operatore che non denunci le difficoltà che si incontrano a raccogliere denari sul mercato interbancario: qualcosa migliora, certo, ma solo per le banche più solide. Ancora peggio sul versante delle cartolarizzazioni. Ci sono i "covered bond" (titoli anch'essi garantiti da mutui), ma ormai anche su questi gli istituti sono costretti a offrire tassi d'interesse elevati. In secca c'è anche il canale degli aumenti di capitale: negli ultimi anni ne sono stati realizzati mediamente 2,8 l'anno, contro i 4,1 prima della crisi. E lo sconto concesso agli investitori è quasi triplicato. Morale della favola: qualunque strada per finanziarsi è cara e difficile da percorrere. Il problema è di tutti in Europa. Ma in Italia, rispetto a Paesi come Francia o Germania, c'è un'aggravante: il rischio-Stato. Questo rende gli istituti italiani meno appetibili, pur a parità di solidità patrimoniale. A questo punto ci si potrebbe chiedere come facciano le banche italiane a stare in piedi. La risposta è semplice: tutto quello che non riescono a raccogliere sui mercati internazionali, lo "prelevano" dalla clientela. Secondo alcune stime, le principali istituzioni creditizie italiane ottengono infatti il 69% delle necessità finanziarie attraverso la clientela retail. Ci sarebbero anche i finanziamenti erogati ogni settimana dalla Bce, ma gli istituti italiani non amano andare a Francoforte. Sono i numeri a dirlo: a fine gennaio le banche italiane, che hanno il 12% degli attivi di tutta Europa, hanno "prelevato" solo 47 miliardi (pari al 9,8% dei 479 miliardi di finanziamenti erogati dalla Bce in Europa). Il motivo per cui non usano tanto la Bce, come detto, è che le banche italiane trovano nella clientela una buona fonte di approvvigionamento a basso costo. Un esempio? Un paio di settimane fa il Banco Popolare ha venduto agli investitori istituzionali un "covered bond" (cioè garantito anche da mutui e valutato "Tripla A") pagando un rendimento del 4,173%. Contemporaneamente lo stesso Banco Popolare colloca ai suoi clienti retail obbligazioni a tasso fisso (non garantite da mutui e dunque più rischiose) pagando il 3,02 per cento. Insomma: agli investitori professionisti offre obbligazioni iper-sicure a rendimenti elevati, mentre alle famiglie "riserva" quelle più rischiose a interessi dimezzati. I risparmiatori prendono più rischio in cambio di minore rendimento. E questo è solo un esempio: tutti – sebbene oggi la situazione sia migliorata rispetto a un tempo – fanno così. «Le banche italiane riescono a mitigare l'effetto negativo dell'aumento del costo della raccolta sui mercati internazionali attraverso la clientela retail – conferma Giulio Codacci Pisanelli di Bnp Paribas –. Questo riduce il costo medio della raccolta, ma diminuisce anche il reddito commissariale che le banche hanno tramite il collocamento di titoli di emittenti terzi». Presto arriverà anche un altro regalino: il rialzo dei tassi Bce. Spesso gli istituti di credito, quando questo accade, alzano subito il costo dei finanziamenti a famiglie e imprese ma non sono altrettanto tempestive nel rincarare i tassi sui depositi. Questo consente loro di aumentare i ricavi. Ma a pagare sono ancora i clienti.

06/03/2011

Documento n.8876

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