Il PuntO n° 206 Chi è sanzionabile se invita all’astensione in occasione dei referendum? Di Mauro Novelli 11-6-2011

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Il PuntO n° 206 Chi è sanzionabile se invita all’astensione in occasione dei referendum? Di Mauro Novelli 11-6-2011 Questa è la normativa in materia: Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., n. 139, del 3 giugno). Art. 98. (Testo Unico 5 febbraio 1948, n. 26, art. 71). Il pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all'estensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 3000 a lire 20.000. Legge del 25.5.1970 n. 352 Art. 51 Le disposizioni penali, contenute nel Titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge. Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei Titoli I, II e III della presente legge. Le sanzioni previste dall'articolo 103 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti previsti nell'articolo medesimo riguardino espressioni di voto relative all'oggetto del referendum. La vita civile di una repubblica impone che le decisioni (“sintesi”) si prendano dopo aver permesso alla “tesi” ed alla “antitesi” di esprimersi. E’ chiaro quindi che tutto ciò che impedisce alle due “posizioni” di esprimersi è condannabile, ed infatti, anche il nostro ordinamento lo condanna. La normativa andrebbe applicata, ma sia la destra che la sinistra (uso categorie vecchie, del millennio scorso) hanno usato l’astensione come strumento per far prevalere la loro visione: ricordo che i DS nel 2003 ( sull’articolo 18) parlavano di “diritto all’astensione”, come le gerarchie vaticane nel 2005 (sulla fecondazione assistita). Il raggiungimento del quorum nei referendum è ormai cancelletto superato. Quindi dobbiamo imporre alcune modifiche costituzionali allo strumento: 1. Quando i padri costituenti decisero per il minimo di 500 mila firme, intesero imporre una limitazione al rischio di inflazionare lo strumento. Nel 1948 – 47 milioni di abitanti - i punti di aggregazione civile erano solo i comizi e le sezioni di partito,le case del popolo e gli oratori; mentre gli strumenti di valutazione delle idee e dei fatti erano costituiti esclusivamente dalla stampa, unico luogo di informazione e palestra intellettuale [ Negli anni ’20, il Corriere della Sera superava i due milioni di copie di tiratura]. Chiediamoci: quali difficoltà avrebbe dovuto superare il promotore per raccogliere la volontà di 500 mila cittadini? Con gli strumenti del terzo millennio credo si debba passare ad almeno 2 milioni di firme. 2. L’imposizione del quorum fu giustificata dal fatto che se la metà più uno degli aventi diritto si fosse astenuto, avrebbe significato un interesse praticamente nullo sulle questioni oggetto del referendum, tanto che i promotori e la fazione opposta avrebbero dimostrato di non essere in grado di coinvolgere la maggioranza dei cittadini. Anche in questo caso, poiché gli strumenti del terzo millennio permettono (dovrebbero permettere) una informazione capillare, il quorum non ha più ragion d’essere, tanto più che viene usato non come misura dell’interesse per la materia, ma come strumento di boicottaggio per l’espressione dei cittadini. Per tornare alle sanzioni, è calzante l’esempio che si fa in questi giorni: un prete può anche non credere in Dio, ma se nel corso di una cerimonia invita i suoi fedeli a non andare più a messa, sarebbe certamente sanzionato dalla gerarchia e sospeso a divinis. La nostra casta ritiene di potersi permettere anche il boicottaggio delle regole democraticamente definite e di andare contro lo spirito che dette luogo alla loro creazione. Il suo più ficcante risultato è quello di aver squalificato il giudizio dei cittadini avendolo sostituito con quello giudiziale: se vedo il mio sindaco rubare, mi sentirò rispondere: “…. aspettiamo il terzo grado di giudizio….nel frattempo continuo a fare il sindaco e non dire in giro che non sono degno di restare in carica, perché ti denuncio per diffamazione.” Ingenuità: fa riflettere il fatto che i governanti, divoratori di sondaggi e di rilevazioni di opinioni, rifuggano ogni forma di “misurazione” che abbia alla base un campione altamente rappresentativo come quello di un referendum. Come mai la reputazione espressa dai cittadini poco o nulla interessa? Ma questo atteggiamento incivile è funzione diretta della nostra rinuncia ad essere cittadini: siamo noi, quindi, a dover recuperare la capacità ed il primato del “reputare”, dell’esprimere nostri giudizi in ogni circostanza e su ogni argomento. E farli pesare, sempre, nei confronti di tutti e di tutto, senza “scendere in campo” come plebe tifosa.

11/06/2011

Documento n.8961

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