UNIDEBIT: UN DEPISTAGGIO LA FUSIONE CON MEDIOBANCA PER SALVARE LA POLTRONA (TRABALLANTE) DI PROFUMO ?

in Consigli e guide
A GERONZI non è piaciuta la sparata suLLA fusione Mediobanca e Unicredit - IL RAZZO PARTITO DALLA STANZA DI PROFUMO PER SCOMBINARE LE TRAME DEI NEMICI? - è Tremonti CHE penserebbe a Nagel come guida del nuovo polo INTERbancario - A Cesarone Geronzi non piace la neve ed è per questa ragione che cercherà di ridurre al minimo indispensabile gli impegni di Milano dove sta arrivando con la Frecciarossa partita stamane intorno alle 10,30. Al banchiere di Marino che il 15 febbraio festeggerà i 74 anni, non è piaciuta nemmeno la sparata del "Sole 24 Ore" di ieri su un ipotetico progetto di fusione tra la sua Mediobanca e l'Unicredit di Alessandro Profumo. Ai suoi occhi l'aggregazione tra i due istituti è apparsa come il primo petardo del nuovo anno che Ferruccio già Flebuccio De Bortoli, il direttore del giornale di Confindustria, ha esploso in aria (senza troppa convinzione) per far capire che è cominciato il risiko bancario del 2009. Nell'agenda di Geronzi, che secondo il quotidiano "La Stampa" dovrebbe incontrare Profumo nel pomeriggio per una visita di cortesia programmata da tempo, l'ipotesi di unire in matrimonio la merchant bank di Piazzetta Cuccia e piazza Cordusio, è perlomeno prematura anche se non gli sfuggono i movimenti convulsi di personaggi come Paolo Biasi e Fabrizio Palenzona che dal ponte di comando delle Fondazioni, azioniste di Unicredit, danno segni visibili di inquietudine. È molto probabile che in questo momento siano loro i soggetti più interessati a tenere sotto pressione Unicredit che l'anno scorso ha perso oltre il 70% in Borsa e per salvarsi non distribuirà i ricchi dividendi ai quali da anni le Fondazioni erano abituate. Per una parte degli addetti ai lavori, la fuga di notizie sulla fusione Unicredit-Mediobanca è interpretata come un "avviso al navigante" Profumo e come un segno del mal di pancia che attraversa le stanze opulente delle Fondazioni azioniste; per altri, l'articolo del "Sole 24 Ore" a firma di Alessandro Graziani (un giornalista che ha sempre seguito da vicino Unicredit) non sarebbe che un razzo a corta gittata, partito dalle stanze dello stesso Profumo per scombinare le trame dei suoi nemici. Da parte sua il banchiere McKinsey ha trascorso il Natale piegato sui dossier che gli possono garantire la sopravvivenza. Negli ultimi giorni di dicembre ha concluso una raffica di operazioni che hanno lo scopo di aumentare il valore patrimoniale della banca anche a costo di vendere i gioielli del caveau. Nella sola giornata del 30 ha fatto ben tre operazioni, annunciate con una serie di laconici comunicati in cui viene ripetuto il concetto di "ottimizzazione" dei valori patrimoniali. Senza farsi prendere dalla nostalgia Alessandro già Grande oggi Mignon ha ceduto la sede storica di piazza Cordusio e altri 71 immobili per 800 milioni (contro un valore di mercato di 930) e d'ora in avanti la banca affitterà il palazzo e gli altri complessi versando 56 milioni l'anno di affitto alla finanziaria Omicron Plus che è stata costituita con l'apporto della stessa Unicredit. Poche ore dopo Profumo ha deciso di vendere alla famiglia reale di Abu Dhabi il 3,3% di Atlantia, la società che gestisce le autostrade, per 248 milioni con una plusvalenza di 157, e come se non bastasse ha concluso la giornata cedendo i diritti agli utili della controllata Bank Austria per 1,1 miliardi (incassando una plusvalenza di 155 milioni). C'è chi interpreta queste mosse come una strada obbligata che porta il banchiere genovese a raschiare il barile per ridurre i rischi generati dal collasso del "settembre nero" quando nello spazio di due giorni consecutivi Unicredit perse in Borsa il 12%. Altri aggiungono con una punta di cinismo che i problemi non sono finiti perché sullo sfondo ci sarebbero le perdite derivanti dalle truffe dell'americano Madoff che in Italia sono contenute in 75 milioni, ma all'estero potrebbero raggiungere cifre da vertigine. L'allusione è alla botta tremenda che lo speculatore ebreo di New York ha inferto a Bank Medici, l'istituto austriaco controllato al 25% da Unicredit ed esposto per 3,6 miliardi nel disastro del mago di Manhattan. Il fatto certo è che Profumo ha vissuto un Natale magro, anzi magrissimo, perché il 18 dicembre con un comunicato piuttosto ingenuo, la sua banca ha annunciato di avergli tagliato il bonus e per bocca del tedesco Rampl ha smentito le voci di dimissioni. In questa situazione l'uomo McKinsey deve remare controcorrente, evitare l'implosione della sua immagine, e attendere che vada a compimento l'aumento di capitale da 3 miliardi che sarà garantito dalla Mediobanca di Geronzi. È difficile che l'uomo McKinsey si pronunci sulle voci che girano in queste ore e forse bisognerà aspettare il 24 gennaio quando alle 9,30 del mattino entrerà nel nuovo Auditorium di Treviso per un dibattito organizzato dagli Industriali locali con Paolo Scaroni, Francesco Giavazzi e Maurizio Sacconi (il peggior ministro del governo Berlusconi). Ai piani alti di Unicredit si augurano che prima di quella data non esplodano altri petardi grandi come la "capa di Lavezzi", il fuoco d'artificio che in modo incredibilmente incauto è stato esibito prima di Capodanno nel Tg1 di Gianni Riotta. Il terreno sotto i piedi di quello che era considerato il più grande banchiere d'Europa può ancora essere minato e non a caso circola da alcune settimane la voce che Profumo voglia liberarsi dell'area investment-banking che sta nella pancia tedesca di Hvb, la roccaforte più importante dell'impero europeo. È da qui che potrebbero venire fuori altre sorprese perché sia Profumo che il suo luogotenente Ermotti non sarebbero in grado di giurare sulla bontà di tutte le operazioni che sono state fatte a Monaco e nelle altre province dell'Est. Se questa cessione di un asset così importante dovesse avvenire, Unicredit si troverebbe impoverita, "riconvertita" al mercato domestico, ma comunque più equilibrata in quei valori patrimoniali che dai 100 miliardi di due anni fa sono arrivati ai 25 di oggi. D'altra parte è stato lui stesso l'8 ottobre a fare autocritica e a dire che non avrebbe mai fatto le acquisizioni straniere e nemmeno quella di Capitalia se avesse avuto coscienza dello scenario da 1929 che si è spalancato nel mondo della finanza. E sulle spalle sente il fiato di un uomo che da mesi non fa mistero di volere la sua testa. Quest'uomo non è la riedizione aggiornata di John Maynard Keynes, l'economista dandy di Oxford, ma un ex-tributarista di Sondrio dal carattere inquieto e l'occhio vispo che da tre mesi scalpita dalla voglia di mandare a casa i banchieri "che non sono in grado di gestire la situazione". A Roma non c'è trattoria o salotto in cui non si dica che Giulietto Tremonti vuole la testa di Profumo e nei corridoi del ministero del Tesoro gira il nome di Matteuccio Arpe in alternativa a quello del banchiere McKinsey. È una candidatura fantasiosa perché fino a quando Cesarone Geronzi avrà forza nella testa e nelle gambe, il giovane Arpe dovrà sbattersi alla ricerca del suo destino. Quella di Tremonti contro il capo di Unicredit è una battaglia solo all'inizio e anche se Draghi, dopo le operazioni di dicembre e l'aumento di capitale confermerà che i valori patrimoniali di piazza Cordusio sono "ottimizzati", c'è da giurare che il genietto di Sondrio non abbasserà il mirino. Ed è proprio da questo atteggiamento del ministro dell'Economia che prendono corpo le voci di queste ore secondo le quali il progetto di fusione Unicredit-Mediobanca sarebbe allo studio da tempo sulla scrivania di via XX Settembre; addirittura c'è chi aggiunge che questa "soluzione di sistema" (destinata ad allargarsi fino alle Generali di Trieste) piacerebbe molto al Cavaliere di Palazzo Chigi che non ha dimenticato i trascorsi politici di Profumo dentro l'Ulivo quando nell'ottobre 2005 arrivò a dire che Berlusconi aveva fallito "perché non ha mantenuto gli impegni". Come si vede il petardo del "Sole 24 Ore" sarà pure bagnato, ma raccoglie gli umori dei palazzi romani, e c'è chi aggiunge addirittura che Tremonti penserebbe ad Alberto Nagel come uomo guida del nuovo polo bancario controllato dalla mano ferma di Cesarone Geronzi. È presto per dire se questo dossier ha già un contenuto industriale, ma è troppo facile archiviarlo come "fantafinanza". D'altra parte anche Geronzi che è arrivato a Piazzetta Cuccia il 27 giugno 2007 deve dare un senso alla quarta stagione di Mediobanca, quella che viene dopo l'era di Cuccia, Maranghi e dei due alani Nagel-Pagliaro. Nei prossimi mesi si ridiscuterà il patto di sindacato che governa la merchant bank e per il banchiere di Marino che fu accolto a Milano con l'ironia stupefatta del "Financial Times" e dei salotti meneghini, la strada per diventare "banchiere di sistema" è una strada obbligata. Profumo è obbligato a vendere per restare in sella e placare gli azionisti. Geronzi è obbligato a crescere per soddisfare le attese della politica. Tremonti è obbligato a dimostrare la coerenza dei suoi editti. Sotto la neve di Milano le volpi sono in agguato.

07/01/2009

Documento n.7689

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