goldman sachs e Capirossi: due pesi e due misure
COMUNICATO STAMPA EQUITA’ FISCALE: GRANDE SCALPORE E SACROSANTA INDIGNAZIONE DEL VICE MINISTRO VISCO, SUI PRESUNTI 60 MILIONI DI EURO SOTTRATTI AL FISCO DAL CAMPIONE VALENTINO ROSSI, SORDINA E SILENZIATORE SU UNA GIGANTESCA FRODE FISCALE,PARI A 4,3 MILIARDI DI EURO,CONSUMATA DA NOTE BANCHE D’AFFARI E DI TRUFFA,COME GOLDMAN SACHS ! CI SONO EVASORI DI SERIE “A” ,TOLLERATI DAL FISCO E DI SERIE “B” PERSEGUITATI ? COME MAI MINISTERO ECONOMIA ED AGENZIA DELLE ENTRATE NON SI COSTITUISCONO PARTE CIVILE NEL PROCESSO CONTRO LE BANCHE, NELL’OPERAZIONE “EASY CREDIT” ? Bene hanno fatto Fisco italiano ed Agenzia delle Entrate a scoprire che Valentino Rossi, il campione marchigiano di Tavullia,oltre ad essere bravo in pista,stacca tutti anche nelle nebbie dei paradisi fiscali, addebitando al bravo motociclista una presunta evasione fiscale,tra 2000 e 2004, per un imponibile non dichiarato di 60 milioni di euro, un'imposta di 25 milioni,alla quale vanno aggiunti sanzioni ed interessi. La notizia ha naturalmente fatto il giro del mondo,suscitando la sacrosanta indignazione dei lavoratori a reddito fisso, che pagano la ritenuta alla fonte con la sindrome della quarta settimana ancora non superata e costretti a contrarre debiti per sopravvivere, ma anche del vice ministro dell’Economia Vincenzo Visco, il quale pur dichiarandosi tifoso del bravo campione,avrebbe affermato che il “fisco è uguale per tutti”. E’ un vero peccato che né l’Agenzia delle Entrate,né il ministero dell’Economia, ai quali Adusbef ha inviato più di una segnalazione, mentre si accaniscono sui presunti evasori di “Serie B”, adottando misure sproporzionate come le ganasce fiscali perfino sugli immobili di contribuenti, che non hanno pagato una multa di soli 1.000 euro, o sugli esercenti che non rilasciano lo scontrino su un pacchetto di caramelle di 1 euro sanzionandoli anche con la chiusura dell’esercizio, abbiano messo il silenziatore sugli “evasori amici di Serie A”, come le banche d’affari e di truffa,che hanno frodato il fisco italiano per 4,3 miliardi di euro. Esiste un tabù a parlarne,forse perché tra i responsabili di tale frode fiscale per 600 milioni di euro (10 volte in più della presunta frode di Valentino Rossi), sia accusato un signore, che come Paperon de Paperoni, difende l’oro di “Fort Koch” con le unghie e con i denti (forse per consumare il bagno mattutino nei suoi forzieri ?), invece di offrire un contributo volontario alla riduzione del debito pubblico, come hanno già fatto governatori di banche centrali meno indebitati di noi ? Altro che Capitan Uncino ! Il dr. Draghi infatti, che predica rigore ed equità (degli altri) e che denuncia gli alti costi dei servizi e l’inefficienza delle banche, invece di agire in silenzio,come suo dovere, ha sempre omesso di relazionare il Parlamento e l’opinione pubblica sull’operazione “Easy Credit”, che pur dovrà conoscere bene, visto che è stata consumata da Goldman Sachs, proprio nel periodo in cui l’attuale governatore di Bankitalia era vicepresidente vicario per l’Europa. Di cosa si tratta ? Approfittando delle differenti legislazioni fiscali in vigore nei paesi europei,Goldamn Sachs International, quarta banca d'affari nel mondo,che ha avuto il vicepresidente Mario Draghi responsabile per l'Europa nel periodo incriminato (2002-2005) ha attuato una ingegnosa truffa ai danni dello Stato per 600 milioni di euro. Non è un'accusa generica da parte di Adusbef,ma il frutto di un'indagine della magistratura nella complessa inchiesta che ha portato a scoprire una gigantesca frode fiscale,da parte di banche d’affari e di truffa, come Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra. L'operazione ricostruita nei suoi dettagli più misteriosi dalle Fiamme Gialle è stata disposta dalla Procura della Repubblica di Pescara, titolare dell'indagine, perchè nella città abruzzese ha sede il centro operativo dell'Agenzia delle entrate in cui confluiscono tutte le richieste di rimborso relative a crediti di imposta. Un'autentica valanga di domande, oltre 40mila, arrivata nel Centro di Pescara subito segnalato all'autorità giudiziaria che con l'ausilio della Guardia di Finanza è riuscita a ricostruire i passaggi del sofisticato meccanismo truffaldino. Le azioni di società italiane quotate in borsa, detenute anche da investitori istituzionali (fondi pensione e altro), poco prima del periodo di distacco delle cedole dei dividendi, venivano "trasferite" in altri Paesi, in prevalenza in Inghilterra, in modo da creare le premesse per evitare la doppia imposizione fiscale. Quindi partiva la richiesto di rimborso, ma subito dopo i titoli tornavano in Italia. Come mai Agenzia Entrate e ministero dell’Economia,non si costituiscono parte civile nel processo penale, offrendo doverosa informazione ad una delle più gigantesche frodi consumate a danno dell’Erario, dando anche il giusto risalto ai presunti truffatori,fugando così il sospetto che “il Fisco non sia uguale per tutti”? Adusbef riproduce, in calce,una pregevole ricostruzione dell’Espresso,sul quale ci fu silenzio di tomba ! Elio Lannutti (presidente Adusbef) Roma,9.8.2007 L¡¯Espresso Del 7-6-2007 n¡ã 22 Anno 53 ECONOMIA SCANDALI FINANZIARI / L'INCHIESTA DI PESCARA Banche d'affari e di truffe Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, tre fra le principali banche d'affari mondiali, costrette a piegarsi davanti alla porta della Procura di Pescara. Di Primo Di Nicola Bussano per restituire il maltolto e rinunciare a oltre 600 milioni di euro di crediti maturati con l'erario dopo anni di raggiri. Una gigantesca truffa ai danni dello Stato consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani. Per riuscire a spillare denaro §Ú stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle societ§Ñ italiane, facendo credere all'amministrazione finanziaria di averne diritto. Per incassare c'era solo da aspettare; tanto nessuno controllava. In questo modo, secondo i documenti degli inquirenti che 'L'espresso' ha potuto visionare, le banche americane e una lunga serie di altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria. Un giochetto andato avanti per anni, fino a quando la magistratura non ha affondato il bisturi nel bubbone. E allora per le protagoniste dello scandalo sono cominciati i guai. Passando al setaccio oltre 40 mila richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, e i suoi sostituti Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli, hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro: complessivamente, ben 4 miliardi 300 milioni di euro, quasi una manovra finanziaria. E soprattutto, le responsabilit§Ñ dei vari protagonisti. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice 'easy credit', risale al 2005 quando, dopo una indagine sulle richieste inoltrate da societ§Ñ inglesi, il Gruppo repressioni frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella citt§Ñ abruzzese ha sede il centro operativo dell'Agenzia delle entrate che si occupa di queste pratiche. Secondo la nostra legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle societ§Ñ e agli enti residenti in Italia. Alcune convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, come quelle stipulate dall'Italia con la Gran Bretagna e la Francia (hanno funzionato dal 1992 al 2003), prevedono tuttavia l'estensione di questo diritto anche ai residenti nell'altro Stato contraente. Cosa hanno fatto le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani? Si sono fatte 'prestare' temporaneamente da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle pi§ë svariate nazionalit§Ñ, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle societ§Ñ italiane, queste azioni risultassero di propriet§Ñ delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perci§ä titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari. Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano. Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese della Deutsche Bank. In quei giorni di operazioni di questo tipo ne sono state fatte a migliaia, creando un traffico cos§Þ intenso da fare quasi scoppiare i portafogli-titoli delle tre banche d'affari. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5 milioni 400 mila azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50 mila titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. Un record di cui la Guardia di Finanza ha messo a nudo tutte le irregolarit§Ñ, facendo emergere anche le responsabilit§Ñ di tutte le altre istituzioni che hanno utilizzato le convenzioni bilaterali sui crediti di imposta sui dividendi firmate dall'Italia. La lista degli accusati alla fine potrebbe essere molto lunga: si parla di un totale di circa 4.500 soggetti finanziari che potrebbero finire presto nel registro degli indagati. Tra di essi spiccano i nomi di colossi come Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzera Ubs, le cui richieste di rimborso hanno rivelato gi§Ñ imperdonabili pecche agli occhi degli investigatori. Ma sul banco degli imputati ci sono per il momento soprattutto le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, molto note e attive da tanto tempo sul nostro mercato finanziario, avendo per esempio curato alcune delle privatizzazioni fatte negli ultimi dieci anni (Comit e Credito commerciale), per non parlare del ruolo svolto in grandi fusioni societarie (Sai-Fondiaria), nel collocamento di societ§Ñ in Borsa e in quelle dei nostri titoli di Stato sul mercato internazionale. Insieme le tre banche avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Una vera e propria stangata per l'erario, scongiurata solo grazie all'intervento della magistratura. Davanti ai pm pescaresi, infatti, sperando di limitare i danni, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan hanno accettato alla fine un accordo che prevede la loro rinuncia ai 600 milioni di rimborsi non spettanti e la restituzione di 52 milioni gi§Ñ incassati (i soli in tanti anni a causa dei cronici e stavolta provvidenziali ritardi del fisco). "Abbiamo transato; la faccenda §Ú chiusa", commentano a Goldman Sachs. "Siamo soddisfatti", dice invece Lehman Brothers: "Abbiamo cooperato con gli inquirenti; la vicenda si sta chiudendo amichevolmente". Ottimismo giustificato? Non proprio, visto che, nonostante la transazione, le accuse a loro carico restano e sono pesantissime: si va dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilit§Ñ penale e amministrativa per non avere adottato misure adeguate per evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati. Un aspetto molto delicato della vicenda, visto che il comportamento da 'furbetti'di Goldman Sachs International di Londra §Ú andato avanti anche negli anni in cui vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della societ§Ñ era Mario Draghi, dal dicembre del 2005 governatore della Banca d'Italia. Dalla documentazione acquisita, annotano infatti le Fiamme Gialle in uno dei loro rapporti, §Ú emerso con chiarezza che l'origine e la destinazione finale dei pacchetti azionari movimentati dalle tre filiali europee delle banche d'affari in prossimit§Ñ dello stacco dei dividendi "sono in realt§Ñ riconducibili a investitori residenti in paesi diversi con i quali non risulta stipulata alcuna convenzione che preveda il rimborso del credito di imposta sui dividendi distribuiti da societ§Ñ italiane quotate in Borsa". A chi appartiene per esempio il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001? Al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari. Conclusione amara della Guardia di Finanza: si pu§ä "ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di 'lavaggio dei dividendi'". Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2 miliardi e 200 milioni di euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi di euro, molte delle quali inoltrate da Bnp Paribas e Cr§Ûdit Lyonnais. Tutte regolari? Macch§Û: la comparazione dei dati fatta dagli inquirenti "ha evidenziato un quadro complessivo analogo" e tale da far ritenere "con ragionevole certezza che le frodi inizialmente ipotizzate ad opera di soggetti inglesi siano state perpetrate con le stesse modalit§Ñ anche da soggetti francesi". Davanti all'enorme numero delle pratiche di rimborso da esaminare per ricostruire la truffa e individuare le responsabilit§Ñ, Guardia di Finanza e magistrati hanno dovuto accantonare il contenzioso francese per concentrarsi sulle pratiche di rimborso provenienti dalla Gran Bretagna e inoltrate da Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan. Lo hanno fatto passando al setaccio la documentazione relativa ai soli titoli Eni e Telecom (i pi§ë appetiti e movimentati dagli investitori). Una scelta che ha consentito alla procura di Pescara di recuperare i circa 600 milioni indicati negli accordi, un tesoretto che secondo gli inquirenti potrebbe lievitare fino a circa 2 miliardi di euro quando saranno chiamate a regolare i conti con la giustizia anche le altre migliaia di soggetti finanziari che tra Gran Bretagna e Francia hanno partecipato al banchetto truffaldino e che stanno per essere iscritti sul registro degli indagati. La replica degli americani: per noi affare chiuso dopo l¡¯accordo.Prestiti generosi Guglielmo Maisto, docente universitario, titolare dell'omonimo studio tributario milanese. Francesco Mucciarelli, professore di diritto penale alla Bocconi e difensore di Gianpiero Fiorani, l'ex amministratore delegato della Banca popolare italiana finito in carcere per le scalate bancarie. Lo studio Romagnoli Piccardi e associati, fondato da Giulio Tremonti, ministro dell'Economia proprio nel periodo in cui la truffa ai danni dello Stato sui rimborsi dei crediti d'imposta raggiungeva il suo apice. A difendere gli interessi di Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, sotto accusa alla Procura di Pescara, sono stati arruolati i migliori penalisti e specialisti della materia tributaria. Grazie al loro lavoro le tre banche d'affari hanno raggiunto l'accordo con il sostituto procuratore Giampiero Di Florio. Con il quale sperano di chiudere la partita. A rimanere con il fiato sospeso sono anche gli effettivi proprietari dei pacchetti azionari che, prestando i loro titoli di societ§Ñ italiane in coincidenza con le emissioni dei dividendi, hanno reso possibile la truffa miliardaria. Di chi si tratta? Tra banche e fondi di investimento la lista §Ú lunga e tocca ogni angolo del globo: tra gli altri, Abn Amro, Rabobank Nederland e Leven Nv (Olanda); Abu Dhabi Investment Authority; International Share Fund Level 23 di Sydney; Commerzbank Ag, Delbrueck Bethmann Maffei Ag e Deutsche Bank (Germania). E poi: Chase Manhattan Bank, Salomon Bros, Bank of America e Bank of New York (Stati Uniti); Quality Education Fund (Hong Kong); Kio Government Future (Kuwait); Master Trust Bank of Japan. Infine, due filiali estere di istituti italiani: Caboto Sim spa e Sanpaolo Bank, con sede fiscale in Lussemburgo.P. D. N.11/08/2007
Documento n.6744