UNIVERSITA': LE BARONIE ANCHE NELLE SEGRETERIE

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Università, cognomi "noti" assunti anche fra i non docenti di Claudio Marincola: "Il Messaggero" ROMA (20 febbraio) - Il bibliotecario? È un nipote del professore. La segretaria? Le ha lasciato il posto suo padre. La bidella? E’ la moglie dell’autista del rettore. Il commissario d’esame? Il nipote del direttore amministrativo. Le università italiane da qualsiasi angolazione le guardi hanno l’aspetto di un gigantesco albero genealogico. Dalle cattedre che si tramandano di padre in figlio, giù per li rami fino all’ultimo strapuntino disponibile. Per analogia con la parentopoli dei docenti, anche dirigenti, impiegati e ausiliari, si passano il testimone. Moglie, mariti, cognati, cugini: una grande famiglia di 56 mila persone (e 10 mila precari che vorrebbero farne parte). Posto unico. Si entra tramite un concorso pubblico aperto agli esterni. Con tanto di bando. Ed ecco la prima anomalia: nella stragrande maggioranza dei casi il concorso è per un solo posto. In questo modo si ottengono più risultati: si limita il numero di candidati; si scoraggiano eventuali concorrenti indesiderati; si limitano eventuali ricorsi e si rispettano le esigenze del bilancio. Del resto perché studiare, sudare, impegnarsi per un concorso in cui si ha una - dicasi una - sola chance di vittoria? Sorpresa libera tutti. La sorpresa arriva dopo. Quando superata la prova, individuato l’unico vincitore, arriva la delibera che implementa gli organici. E poiché si vanno ad occupare posti che nel frattempo si sono resi vacanti non serve neanche il nulla-osta del Cda, basta la firma del direttore amministrativo e le assunzioni si allargano agli idonei, diventano 10, 20, 30 a seconda dei casi. La moltiplicazione dei posti riguarda indistintamente tutte le tipologie di concorso. Il che non vuol dire - sia chiaro - che sono truccati ma solo che l’iter solleva ragionevoli dubbi. La famiglia Muscio. Esempio pratico. L’Università statale di Foggia è al primo posto tra gli atenei che negli ultimi 8 anni hanno aumentato gli organici. L’aumento dei professori è stato del 361,9%, quello degli studenti del 17,6%. Ma l’Ateneo dauno si è conquistato i titoli dei giornali per il sincronismo con il quale l’ex rettore Antonio Muscio assunse suo figlio Alessandro. Il provvedimento fu firmato lo stesso giorno in cui il Magnifico andava in pensione. In pochi, però, rilevarono che nella stessa università già lavorava la figlia del rettore nonché sorella del neo professore chiamata a prendere il posto della madre. Più che un organico, una saga familiare. Declassamento. Se l’operaio vuole il figlio dottore figuriamoci le aspirazioni che un professore universitario riversa sul figlio. Eppure da qualche tempo a questo parte la prole accademica ha ridimensionato le sue aspirazioni. Con i tempi che corrono, visto il clamore suscitato dalla parentopoli universitaria, visti e previsti anche i tagli, le attenzioni dei rampolli si sono spostate su altri settori. Università Roma Tre. È il caso che gli studenti hanno segnalato a Dillo al Messaggero. A vincere il concorso di gruppo C1 per diplomati è stata Lia Mele, moglie del responsabile della divisione docenti. Con una successiva delibera sono entrati però Giovanna Mele, figlia del professor Paolo Mele, Francesca Paolucci, anche lei figlia di un docente di Roma Tre, e Fabio Funiciello (il padre Renato insegna nello stesso ateneo Scienze Matematiche Fisiche e naturali). Per la cronaca: due membri (su tre) della commissione sono il nipote e la segretaria del direttore amministrativo. Altri esempi: Maria Claudia Guattari, figlia del professor Giorgio Guattari; Vangelis Lucci, figlio del professor Lucci. Consulenze. E gli esterni? E chi non sa che i posti da uno possono diventare, 10, 20, 30 e anche più? Se non hai un legame di sangue, un filo che ti lega, entrare è molto difficile. Può capitare, però, che il figlio del direttore amministrativo dell’Ateneo di Tor Vergata venga assunto a Roma Tre, (dove lavora anche la moglie). O che ad essere assunto sia Andrea D’Ottavi, il figlio di un consigliere di Stato già consulente della stessa università. «Gli atti amministrativi dei concorsi sono pubblici e sono a disposizione di tutti», fa sapere l’ufficio stampa del rettore di Roma Tre Guido Fabiani. E proprio dalle carte risulta che sua figlia e il genero lavorano nel suo stesso Ateneo. L’elenco è lungo: l’ex rettore dell’Università di Cassino Oronzo Pecere e sua figlia Stefania funzionaria a Roma Tre e poi a Tor Vergata. Anche i guai dell’ex rettore della Sapienza Renato Guarini cominciarono, a pensarci bene, con l’assunzione della figlia tra il personale tecnico amministrativo. Una tappa di passaggio prima di puntare alla cattedra. Senza dire dell’intreccio di incarichi tra dirigenti e revisori dei conti, scambi di ruolo tra un ateneo e l’altro. Omonimie accademiche. Roberto Perotti (”L’Università truccata”, Einaudi) s’è preso la briga di elencare i casi di omonimia tra i docenti delle facoltà di Medicina. Per scoprire che l’indice di nepotismo ha toccato negli ultimi tempi vette inviolate. Punte del 30% a La Sapienza e alla Cattolica. Con il picco di Messina, 38,4% di docenti con il cognome di almeno un altro professore. Meno nota è la complanare amministrativa che scorreva accanto alla parentopoli dei docenti. Meglio un posticino sicuro oggi che avventurarsi nel ginepraio di domani. E del resto anche l'Isfol lo dice: il 28% dei laureati ha un impiego non all’altezza del proprio titolo. E i sindacati? Alcuni si sono adeguati, hanno messo la testa sotto la sabbia. Altri ancora hanno provato ad alzare la voce ma invano. «Noi chiediamo più spazio per i precari», si limita a commentare Mimmo Rossi, segretario generale Flc di Roma e Lazio. E il resto? Baronìe, raccomandazioni, corsìe privilegiate. «Per i rettori e per i docenti che li sostengono - fa notare un iscritto - il personale tecnico amministrativo costituisce un grande bacino di voti. E far parte della commissione - conclude - spesso vuol dire guadagnarsi il passaggio alla qualifica successiva. «Non basta avere lo stesso cognome, l’importante è che le procedure dei concorsi siano state corrette - obietta invece Mimmo De Simone, responsabile Cisl - ci sono tanti figli e nipoti che hanno meritato l’assunzione». E i concorsi per un posto che poi diventano venti posti? «In questo caso sono io il primo a dirlo: non mi sembrano una cosa seria».

20/02/2009

Documento n.7768

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