SE MEDIOBANCA È IL CROCEVIA DEL POTERE ITALICO (RCS, GENERALI, TELECOM,) PERCHÉ GERONZI SI AGITA TANTO CON CALTA PER RAGGIUNGERE LA PLUMBEA TRIESTE ?

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SE MEDIOBANCA È IL CROCEVIA DEL POTERE ITALICO (RCS, GENERALI, TELECOM, ETC), PERCHÉ GERONZI SI STA AGITANDO CON CALTA PER RAGGIUNGERE LA PLUMBEA TRIESTE? - IL BANCHIERE DI MARINO HA CAPITO CHE L'ARIA DELLA POLITICA È SEMPRE PIU TORBIDA E INCERTA: DA UNA PARTE IL REFERENTE LETTA È SOTTO SCHIAFFO; DALL'ALTRA, FINI E TREMONTI SCALPITANO PER LA SUCCESSIONE A BERLUSCONI; E IN MEZZO NON C'È PIÙ UNO STRACCIO DI OPPOSIZIONE PER TROVARE UNA SOLUZIONE "ISTITUZIONALE" AL SISTEMA - (DI QUI L’IMPORTANZA PER GERONZI CHE IL CAMBIAMENTO AVVENGA NELLA CONTINUITÀ PIÙ DEMOCRISTIANA/ANDREOTTIANA POSSIBILE PER AVERE SPALLE COPERTE DA TIRI MANCINI) - Gli uscieri di Mediobanca non hanno nulla a che vedere con quelli di TelecomItalia e del palazzo-obitorio delle Ferrovie che per antica abitudine sono garruli e loquaci. Da quando il tempio della finanza è stato creato, le generazioni degli uomini che si sono succeduti davanti al portone di Piazzetta Cuccia non aprono bocca, ed esercitano la loro funzione come i capitelli del Partenone e i monoliti irlandesi di Stoneage. Nel loro intimo sorridono quando leggono sui giornali che i cancelli dello storico Istituto sono stati varcati dallo scarparo marchigiano Dieguito Della Valle oppure da Tronchetti Provera e Totuccio Ligresti. Per loro questa processione è un rito quotidiano che non fa notizia nemmeno quando i vari personaggi della finanza e dell'economia salgono al primo piano dove si trovano come una reliquia il plumbeo ufficio di Enrico Cuccia e quello scelto da Cesarone Geronzi. Negli ultimi giorni la processione si è fatta più intensa, ma questo per gli uscieri è soltanto l'ennesimo capitolo di una storia che è cominciata nel 1946 e che continuerà fino a quando qualcuno non chiuderà l'epoca della merchant bank magari attraverso una fusione con le Generali di Trieste. Per gli impenetrabili uscieri quello che sta succedendo in queste ore è un conflitto tra forze interne che si battono per un "cambiamento nella continuità". A volere la continuità è primo fra tutti il banchiere romano che sembra sempre più intenzionato ad immergersi nella tristezza di Trieste (dove Mediobanca è il primo azionista), ma che non intende lasciarsi le spalle scoperte. Ed è questa la ragione per cui il cambiamento dovrà avvenire con una soluzione "istituzionale" che metta d'accordo tutti i soci del Patto di sindacato e consenta di governare a distanza le strategie di Piazzetta Cuccia. Qualcosa di simile è già accaduto verso la fine degli anni '80 quando a Milano arrivò Antonio Maccanico, il segretario generale del Quirinale durante la presidenza Pertini. Era il 1987 e fu Prodi a spingere per questa soluzione che lasciò le leve del comando a Cuccia sponsorizzando per il vertice di Mediobanca quel Maccanico che da molti anni conosceva il Grande Vecchio. Bisogna ricordare infatti che il braccio destro di Pertini era il nipote di Adolfo Tino, uno dei fondatori del Partito d'Azione che con La Malfa rappresentava il cuore della "finanza laica". Di Cuccia Maccanico sapeva tutto e come ha scritto Fabio Tamburini nel bellissimo libro "Un siciliano a Milano", Maccanico conosceva le virtù e i difetti del mitico banchiere simile a Pertini per il cattivo carattere. La sua presidenza durò soltanto due anni, fu un momento di gloria che si chiuse con la privatizzazione di Mediobanca e il ritorno a Roma dove La Malfa lo nominò ministro per le Riforme Istituzionali. Adesso c'è chi vorrebbe riproporre questa soluzione "istituzionale" con la candidatura di Vittorio Grilli, il pallido direttore generale del ministero dell'Economia che ha certamente le carte in regola per fare il salto nel gotha della finanza. È difficile però immaginare che Giulietto Tremonti possa privarsi dell'apporto di quest'uomo che nelle intenzioni del ministro ha i requisiti ideali per la Banca d'Italia. Per quest'ultima poltrona finora si sono aperti soltanto giochi verbali perché sulla possibilità che Draghi vada a Francoforte se ne riparlerà verso la fine dell'anno. Tutte le chiacchiere sul veto tedesco e le punture di spillo sull'esperienza di Draghi in Goldman Sachs, per adesso lasciano il tempo che trovano. Di certo c'è soltanto che dopo una dichiarazione di Bonaiuti e un timido cenno di Berlusconi, Giulietto ha spezzato due giorni fa una lancia in favore di Draghi alla Bce che ha il sapore di un bel gesto, qualcosa di più a un atto dovuto. Il suo candidato per la Banca d'Italia rimane il pallido Grilli e gli uscieri di Piazzetta Cuccia ridono intimamente quando leggono sulla "Repubblica" di oggi che personaggi come Alberto Nagel e Renato Pagliaro, i due alani di Geronzi in Mediobanca, avrebbero tra le mani il potere contrattuale per decidere la sorte di Geronzi e quella di Grilli. Non c'è dubbio che tra i fautori del cambiamento nella continuità, il 45enne Nagel (laureato alla Bocconi, la madre di tutti i sapientoni) e il 53enne Pagliaro (anche lui bocconiano doc, entrato in Mediobanca nel settembre 1981) hanno certamente tutto l'interesse a salvare le loro poltrone e a svolgere un ruolo determinante nel futuro assetto di Piazzetta Cuccia. Questo però non basta a farli diventare improvvisamente i player del risiko bancario che si gioca sull'asse Milano-Trieste. E quando si legge sul "Sole 24 Ore" di oggi che il tandem Nagel-Pagliaro potrebbe condizionare la futura governance, il pensiero ritorna inevitabilmente a quell'idea balzana di public company dove i manager pretendono di essere decisivi ignorando il peso dei loro azionisti e della politica. È la stessa sindrome che sembrano vivere ai piani alti delle Generali dove l'amministratore delegato Perissinotto si agita in maniera visibile per garantire la continuità nel cambiamento. Qui la partita tocca l'ormai inevitabile uscita di scena di Antoine Bernheim, l'85enne francese nei confronti del quale anche gli amici francesi (Bollorè, Tarak Ben Ammar e per ultimo Jean Azéma di Groupama) stanno rendendo l'ultimo omaggio. L'eventuale arrivo di Geronzi sulla poltrona dell'anziano presidente è visto con grande preoccupazione dentro il quartier generale della Compagnia assicurativa, e non a caso negli ultimi giorni su alcuni giornali è stata fatta filtrare (attraverso la mano del consulente per la comunicazione Richard Holloway) l'ipotesi che le redini del Leone passino nelle mani del corpulento Perissinotto e dell'attuale direttore generale, Raffaele Agrusti. Gli uscieri di Piazzetta Cuccia non parlano, hanno gli occhi persi nel vuoto e bisogna faticare moltissimo per capire il loro scetticismo. È una perplessità che si allarga anche sulle voci che indicano Alessandro Profumo (primo socio in Mediobanca) attivamente impegnato a rendere dura la trasmigrazione di Geronzi dalla Piazzetta milanese alla piazza dell'Unità d'Italia di Trieste. Loro sanno benissimo che in questo momento il banchiere genovese ex-McKinsey ha altri cazzi per la testa, primo fra tutti quello della presidenza di Unicredit dove, oltre alle ambizioni del vicepresidente Fabrizio Palenzona, si sarebbe manifestata nella ultime ore l'intenzione di Dieter Rampl di lasciare la poltrona. Se questa notizia è vera, Profumo dovrà mettere ordine in casa sua e comunque non potrà dimenticare che con l'amico Geronzi ha deciso la fusione Unicredit-Capitalia in una decina di giorni. Questo significa che non saranno Profumo e nemmeno Nagel e Pagliaro, piuttosto che Perissinotto e Agrusti, a innalzare i cavalli di frisia per sbarrare la strada al banchiere di Marino. Ci sono però alcune domande alle quali qualcuno prima o poi dovrebbe rispondere. E la prima di queste è: perché Geronzi se ne vuole andare da Piazzetta Cuccia che rappresenta il crocevia di tutte le operazioni e i dossier più importanti della finanza italiana? È una domanda alla quale finora non c'è stata una risposta convincente. Non è certo per i soldi che a Cesarone non mancano dopo 50 anni di carriera remunerati alla grande (compreso il bonus alla fine di Capitalia da 20 milioni di euro). Il denaro non gli dispiace, non lo spreca ma non lo ostenta nemmeno nella vita privata, e comunque per un uomo come lui viene dopo il potere, quell'ingrediente che anche in età avanzata può creare intense emozioni e qualche raro orgasmo. Ma che tipo di afrodisiaco possono rappresentare le Generali dove bisognerà affondare le mani per risvegliare il Leone addormentato e mettere a posto con colpetti di machete l'organigramma attuale? Sono domande curiose alle quali nemmeno i marmorei uscieri di Piazzetta Cuccia sanno rispondere. E non basta dire che Cesarone è stufo del pellegrinaggio quotidiano dei postulanti con i pallini nelle scarpe e i debiti nella borsa. Eppure tutto fa pensare (anche a dispetto delle ultime dichiarazioni rilasciate a Napoli sabato scorso) che la strada per Trieste sarà imboccata, sottobraccio a quel Francesco Gaetano Caltagirone che continua a comprare pacchetti azionari e forse punta alla vicepresidenza della Compagnia assicurativa (nonostante il manifesto interesse e la forte presenza dentro MontePaschi). Le domande rimangono sospese nell'aria, un'aria che di questi tempi è sempre più torbida e incerta. Le vicende degli ultimi giorni hanno incrinato la solidità del Cavaliere di Arcore e dopo le Regionali si scatenerà la bagarre tra Fini e Tremonti per la leadership politica. Geronzi ne ha viste tante nella sua vita e tanti ne ha conosciuti, sia nel bene che nel male. Il fiuto non gli manca per capire che invece della scrivania colma di dossier di Piazzetta Cuccia forse è preferibile quella di piazza dell'Unità d'Italia a Trieste dove si può vivere l'euforia di una nuova e ultima sfida. Restare nel crocevia di Mediobanca è una grande rottura di scatole, ma l'importante è che il cambiamento avvenga nella continuità per avere le spalle coperte.

18/02/2010

Documento n.8482

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