Repubblica 6-8-10. Quando il risparmio fa crac. Ettore Livini

in Articoli e studi
INCHIESTA ITALIANA Quando il risparmio fa crac. Venti miliardi andati in fumo. Tanto hanno perso i "bot-people", dall'Argentina alla Parmalat. Un milione gli investitori traditi, il muro delle banche. Solo il 26% è stato rimborsato di ETTORE LIVINI Quando il risparmio fa crac venti miliardi andati in fumo Un gruppo di risparmiatori davanti al tribunale del processo Parmalat Un milione di italiani coinvolti. E 20 miliardi di risparmi (a volte tutti quelli messi da parte in una vita di lavoro) andati in fumo. La contabilità dei danni patiti dagli ex-Bot-people per gli scandali e i crac finanziari di inizio millennio è un numero, purtroppo, in continua evoluzione. L'Argentina ha quasi chiuso la scorsa settimana le sue pendenze con l'ultimo drappello dei 440mila investitori tricolori travolti dal default dei Tango Bond di Buenos Aires restituendo loro il 35% di quanto avevano investito. Decine di migliaia di ex azionisti Giacomelli, Finmatica e Parmalat conservano ancora nei loro conti in banca titoli diventati carta straccia. Normale amministrazione in un paese dove l'educazione finanziaria è vicina allo zero, i debiti non li onora nemmeno lo Stato (vedi i bond Alitalia rimborsati al 70,9%) e dove gli ex-obbligazionisti della Finmek - per sperare di rivedere qualche centesimo dei 150 milioni versati nelle casse del gruppo - dovranno aspettare l'esito delle cause con le banche: prima udienza fissata nel 2017.... Il bilancio di questo Monòpoli a perdere è nei numeri: i risparmiatori italiani, orfani delle super-cedole dell'era della lira, hanno perso l'orientamento. Traditi dal miraggio di rendimenti da sogno, da truffatori di professione e da consulenti interessati hanno puntato dal 2000 ad oggi 27 miliardi su aziende e Stati finiti poi ko. E ad oggi sono riusciti a rientrare solo del 26% circa del capitale che avevano investito. C'è la speranza di recuperare ancora qualcosa? Qual è stato il ruolo, nel bene e nel male, delle banche e dei consulenti? E la durissima lezione degli ultimi dieci anni, almeno, è servita a qualcosa? LA CLASSIFICA DEI RIMBORSI Carta canta. Argentina e Parmalat, le due Caporetto del risparmio italiano (560mila persone e 21 miliardi in ballo) sono i casi in cui, alla fine, si è perso di meno. La doppia offerta di Buenos Aires ha garantito poco più di un terzo del capitale. Chi non ha accettato, ha ora davanti un iter giudiziario ad ostacoli ancora alle prime battute. La cura di Enrico Bondi non ha potuto salvare gli azionisti Parmalat ma ha regalato ai titolari di bond di Collecchio - travolti dal buco da 14 miliardi - un rientro forse inatteso. Il rilancio industriale del gruppo ha consentito di trasformare i loro bond in azioni. Le transazioni da 2 miliardi chiude hanno fatto correre i titoli. E oggi i "sopravvissuti" ai Tanzi hanno recuperato - dividendi compresi - quasi il 40% dei loro quattrini. Un po' più lento è stato l'iter del gruppo Cirio. I tre commissari hanno venduto attività per circa 390 milioni, di cui 325 sono già stati girati ai risparmiatori che avevano comprato bond da Sergio Cragnotti per 1,15 miliardi. Delle sette emissioni, tre sono state rimborsate con percentuali tra il 6,25% e il 50%. "E due altre restituzioni sono ormai in rettilineo d'arrivo - assicura il Commissario Luigi Farenga - in attesa dell'appello sulla sentenza che ha obbligato Capitalia, ora Unicredit a risarcirci per 300 milioni". I GUAI DEI PICCOLI Il discorso è diverso per i crac minori, quelli "fuori dai riflettori della pubblica opinione", come li chiama Gianluca Vidal, commissario straordinario della Finmek. Qui di polpa da vendere ne resta poca, le cause sono più difficili da seguire. E i rimborsi si misurano con il contagocce. Giacomelli, per dire, ha portato in libri in tribunale con pochissime attività da vendere visto che dei suoi negozi di articoli sportivi controllava solo i marchi. I curatori hanno recuperato 25 milioni da una transazione con Deloitte, piazzato a prezzi di realizzo qualche piccolo asset. "Ma di soldi per ora zero", si lamenta Ernesto Falcone che in tasca si trova 6mila euro di bond del gruppo. "E zero rimarranno anche secondo noi" scommette Marco Elser, socio fondatore di Advicorp, società italo-inglese che fa un po' da punto di riferimento per i valori dei cosiddetti titoli-spazzatura. "Il motivo è semplice - spiega Vidal - . Quando queste piccole aziende stanno per fallire, le prime spese che non pagano sono le tasse e il Tfr. Fisco e dipendenti sono creditori privilegiati. E così gli obbligazionisti arrivano di solito per ultimi". E restano spesso, alla fine, con un pugno di mosche in mano. Per molti un disastro umano: "Una pensionata di 89 anni mi ha scritto che non poteva più mangiare perché aveva perso tutti i suoi risparmi, 15mila euro, con i bond Finmek - continua Vidal - . Ma io non posso farci niente. Ho fatto causa alle banche e non ho il coraggio di dirle che la prima udienza è nel 2017!". "È il solito problema italiano: la giustizia è troppo lenta", conferma Antonio Passantino, alla guida del fallimento Finmatica, ex star della new economy caduta dalle stelle alle stalle per distrazioni in bilancio. Lui ai risparmiatori ha restituito il 7% ma una nuova tranche "arriverà entro qualche mese". E per Elser il recupero finale sarà tra il 15 e il 20%. I crac di Serie B, insomma, sono figli di un Dio minore. "Noi non siamo mai stati ricevuto da un curatore fallimentare pagato profumatamente - dice Marcello Gualtieri, rappresentante degli obbligazionisti Finpart - . Non è stato emesso un comunicato per spiegarci cosa stava succedendo, nemmeno con un sito internet". Anche se, magra consolazione, lui e i suoi soci hanno già recuperato il 15% del capitale investito. IL RUOLO DELLE BANCHE Luisa Riffaldi Cambieri, 80 anni, una vita di lavoro alle Generali in Piazza Cordusio a Milano, ha un sorriso amaro: "Ho vissuto la guerra, ho passato anni a tirare la cinghia. Poi, alla fine, a rovinarmi la vita è stata l'ultima persona che mi aspettavo: il mio banchiere di fiducia". "Sono stata cliente dal '52 della stessa agenzia sotto casa mia, in Porta Romana - continua - . Dieci anni fa, quando io il mio povero marito abbiamo ritirato la liquidazione, siamo andati a chieder consiglio a loro su come investirla. Di chi altro dovevamo fidarci?". Con il senno di poi è facile a dirsi: di chiunque altro. "Tutti i miei risparmi, 33mila euro, sono stati investiti in bond Parmalat. I 25mila euro messi da parte da mio marito dopo una vita alla saldatrice, sono finiti in titoli Argentini. E badi bene che avevo detto di non esser golosa di rendimenti alti". Più bassi di così, in effetti, è difficile. La signora Luisa oggi ha in tasca circa 6mila euro di azioni di Collecchio ("se non avessi 80 anni andrei ad aspettare Tanzi sotto casa con il bastone...") e un bond di Buenos Aires che verrà pagato nel 2038. "Quando avrò 108 anni!". È stata imprudente lei o è stata mal consigliata dalla banca? "La verità è che il mondo bancario ha i suoi interessi e negli ultimi anni ha piazzato titoli ad alto rischio a investitori sprovveduti", dice forte della sua esperienza Antonio Passantino, il liquidatore di Finmatica. La vecchia Popolare Lodi regalava auto di lusso agli impiegati che riuscivano a collocare più bond del gruppo. "Per un bel po' di tempo abbiamo venduto solo polizze, certificati di investimenti e altre invenzioni finanziarie con un'unica costante: realizzare commissioni al 10% per la banca", ha ammesso "Un bancario in crisi" in una lettera a Il Sole 24 Ore pochi mesi fa. Generalizzare, naturalmente, è un errore. Ci sono banche che hanno fatto bene il loro mestiere, altre meno. Ma qualche problema c'è, se come ricorda Elio Lanutti - parlamentare Idv e presidente della commissione finanze del Senato - "sul sito di Patti chiari, il portale voluto dalle stesse banche per garantire trasparenza e informazioni ai consumatori, i bond Lehamn sono rimasti nella categoria dei titoli a basso rischio anche dopo il crac della banca Usa". LA STRADA (IN SALITA) DELLE CAUSE Le banche, forse con un po' di coda di paglia, hanno provato a metterci una toppa. Già dal 2005 hanno aperto tavoli di conciliazione con i propri clienti, esaminando caso per caso se erano stati venduti prodotti finanziari a rischio senza adeguate informazioni. Dati ufficiali non ce ne sono, ma le indiscrezioni parlano di circa 30mila richieste di rimborso, accolte più o meno nel 50% dei casi con la restituzione di cifre comprese in media tra il 20 e l'80% del capitale investito. Dopo Lehman e Islanda in molti hanno preferito rimborsare, spesso al 100%, sofisticate polizze index-linked e altri prodotti strutturati la cui caratteristica principale, dal punto di vista del venditore, era il margine di guadagno altissimo. "Qualche volta gli istituti sono arrivati a ribaltare le carte in tavola - accusa Lanutti - . Come su Argentina e Parmalat dove si sono inventati "task force" per aiutare le cause dei risparmiatori contro Buenos Aires e Collecchio solo per evitare quelle contro di loro". L'Italia del resto, come testimonia la nostra ingloriosa leadership europea per numero di vittime di Argentina e Lehman, è un paese a basso tasso di consapevolezza finanziaria. Incapace non solo di prevenire i guai ma pure di affrontarli quando capitano. Alle banche, come ai medici, si crede quasi per fede. E pochissimi, non a caso, hanno scelto la strada del muro contro muro, chiedendo loro risarcimenti per vie legali dopo essere stati travolti dai crac. "La causa individuale costa troppo", ammette Carlo Federico Grosso, rappresentante del Comitato di 32mila correntisti di Intesa SanPaolo che si sono costituiti parte civile nei processi Parmalat incassando già 75 milioni. "A me hanno chiesto 600 euro solo per aprire la pratica, si figuri", dice la signora Luisa. Lo stesso Ombudsman bancario, l'organismo incaricato di trovare una conciliazione tra banche e risparmiatori su queste questioni, ha affrontato negli ultimi anni circa 4mila casi ogni dodici mesi, una goccia nell'oceano dei truffati. Oggi poi, grazie alle firme in calce alla voluminosa (e spesso illeggibile) documentazione informativa imposta dalle nuove norme della Mifid per testimoniare l'avvenuta informazione, le banche hanno ridotto quasi a zero i rischi di contenzioso. L'ARMA SPUNTATA DELLA CLASS ACTION La Mifid non è l'unica eredità normativa tricolore della stagione degli scandali. L'altra, in teoria più importante, è la nuova legge sulla class action. L'arma letale con cui - da Erin Brockovich in poi - i risparmiatori Usa hanno vinto le loro epiche battaglie contro i responsabili dei crac di inizio millennio. I vantaggi della causa collettiva - che nel solo caso Enron, per dare un'idea, ha consentito di recuperare da banche d'affari e società di rating varie 7,6 miliardi di dollari - sono chiari: tutti i presunti danneggiati si uniscono in un'unica grande azione legale coordinata da figure esperte e autorizzate. Risultato: si dividono le spese e la massa d'urto per far valere le proprie ragioni è decisamente superiore. Il potenziale è enorme. Se tutti i risparmiatori europei travolti da Enron, Tyco, Lehman e Bear Stearns varie si fossero uniti alle cause Usa avrebbero recuperato 3,6 miliardi in più, calcola il Think tank inglese Goal. Peccato che la class action all'italiana, come spesso accade da noi, sia nata zoppa. Se non altro perché non prevede la retroattività. L'azione è possibile solo per fatti avvenuti dopo il 16 agosto 2009. Salvando così i responsabili dei crac Parmalat, Cirio & C. "Senz'altro è uno strumento utile", ammette Elser anche se "ci vorrà del tempo per riuscire a capire come farlo funzionare", dice Grosso. La legge però - dicono gli esperti - lascia molte aree grigie sulla sua applicabilità per reati legati ai crac finanziari. Toccherà così ai singoli tribunali valutarne le possibilità d'applicazione. E se il buongiorno si vede dal mattino, il cammino sarà in salita: la prima class action tricolore - una causa varata da Codacons contro IntesaSanpaolo sulle commissioni di massimo scoperto - è stata bocciata come inammissibile. La via crucis dell'armata Brancaleone del risparmio tradito nel Belpaese, purtroppo, non è ancora finita. (06 agosto 2010)

06/08/2010

Documento n.8694

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