L’ULTIMO MISTERO DELLA DC: LE 120 CASE DEL PARTITO VENDUTE SOLO A UN MILIARDO DI LIRE E POI SCOMPARSE (IN CROAZIA)

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L’ULTIMO MISTERO DELLA DC: LE 120 CASE DEL PARTITO VENDUTE SOLO A UN MILIARDO DI LIRE E POI SCOMPARSE (IN CROAZIA) - DUE PROCESSI (A ROMA E PERUGIA) - CASTAGNETTI (“NON NE SAPEVO NIENTE”). L’ACQUIRENTE LO SMENTISCE (“MI DIEDE LUI LA BENEDIZIONE”)… Gian Marco Chiocci per Il Giornale AAA cercasi disperatamente patrimonio immobiliare della Democrazia cristiana. Appartamenti e palazzi, circoli e sezioni di partito, centri studi, terreni, negozi, box, rimesse: in tutto 120 proprietà, gran parte dell'immenso impero fondato sul mattone dai tempi di Alcide De Gasperi, non c'è più. Dissolto. In parte svenduto, dopo mille peripezie, a un imprenditore poi rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta insieme ad altre undici persone, tra presunti complici e prestanomi, collegate alla gestione delle società incaricate di gestire il tesoro dello scudocrociato. In questi giorni a Roma si sta celebrando il processo che potrebbe fare finalmente luce sul giallo immobiliare scoppiato nel 2002 allorché Pierluigi Castagnetti, segretario del Ppi, scoprì che il patrimonio da destinare alla nascente Margherita non esisteva più. Parallelamente, a Perugia, si sta invece processando per corruzione in atti giudiziari e abuso d'ufficio Pierluigi Baccarini, magistrato del tribunale fallimentare capitolino, coinvolto in una serie di presunti fallimenti «pilotati», tra cui proprio quello della «Immobiliare Europa Srl» di Angiolino Zandomeneghi che controllava il patrimonio della vecchia Dc. E proprio la settimana scorsa la sezione fallimentare del tribunale civile di Roma, al termine di una lunga e complicata battaglia legale, ha confermato la sentenza di fallimento di questa immobiliare «democristiana» con motivazioni aspramente contestate dalla difesa di Zandomeneghi: non si sarebbe, infatti, tenuto conto né del ruolo avuto nel fallimento del magistrato attualmente sotto processo a Perugia né della effettiva sede legale della società che avrebbe dovuto portare al trasferimento del procedimento civile da Roma a Verona. Le decine di migliaia di atti visionati dal Giornale descrivono un'incredibile sequela di complicità, scaricarabarili e omissioni, politiche e non, che hanno cancellato un gigantesco patrimonio passato di società in società, di mano in mano, finendo intestato a ignari prestanome dispersi in Croazia. L'inizio dell'affaire lo si può collocare al 1994, quando la Dc di Mino Martinazzoli, o quel che ne restava, inizia a sgretolarsi. Nasce così il Ppi. Di lì a poco, con gli «scissionisti» Pierferdinando Casini e Clemente Mastella, prende corpo anche il Ccd. L'anno successivo Rocco Buttiglione esce e fonda il Cdu mentre Gerardo Bianco si mette alla guida del Ppi-Gonfalone. Quattro anni dopo, non avendo ottenuto quanto pattuito, il Ccd chiede il fallimento delle società «ammiraglie» che detenevano l'intero patrimonio. La magistratura interviene e decide che siano i tesorieri a gestire il tutto. È qui che Angiolino Zandomeneghi, l'uomo intorno a cui ruotano i processi (per la stessa vicenda a Roma è imputato, a Perugia è parte lesa) fiuta l'affare. E con un gioco di prestigio fatto di prestanomi e trucchi contabili, complicità e misteri societari - ipotizza il pm capitolino Luca Palamara - riesce ad acquistare a due lire quanto era rimasto agli eredi della Dc dopo le prime vendite avvenute negli anni novanta di un patrimonio complessivo costituito da 508 immobili. Zandomeneghi, ovviamente, giura di aver fatto tutto regolarmente e alla luce del sole, trattando inizialmente col segretario amministrativo del Ccd, Emerenzio Barbieri, eppoi con gli altri vecchi tesorieri ex democristiani. «Avevo il placet persino di Castagnetti» ha rivelato l'interessato. Una settimana prima del congresso di transizione del 26 febbraio 2002, il segretario Castagnetti viene a sapere che i segretari amministrativi del Ppi e del Cdu avevano venduto le quote delle finanziarie «Affidavit» e «Sfae», proprietarie delle immobiliari «Ser» e «Immobiliare» che gestivano l'intero patrimonio Dc. Ai magistrati, Castagnetti spiega di essere rimasto sorpreso allorché un collaboratore gli fece notare che gli ultimi 120 immobili (da destinare alle sezioni della nascente Margherita) erano stati invece ceduti alla «Immobiliare Europa» di un certo Zandomeneghi a un prezzo ridicolo: appena un milione e 557mila euro rispetto a una stima di vendita inizialmente oscillante dai 50 ai 70 miliardi di lire. In quel momento più di qualcuno sente puzza di bruciato, qualcun altro (il vertice del Ppi) decide di fare causa a Zandomeneghi sostenendo che aveva trattato con chi, a quel tempo, non aveva i poteri per farlo. Su tutti, il tesoriere del Ppi, Romano Baccarini, quindi Alessandro Duce (ex tesoriere Cdu, liquidatore del Ppi che conserva la potestà sugli immobili) e in subordine Gianfranco Rotondi (ultimo segretario amministrativo del Cdu).Nel partito non si capisce chi, su mandato di chi, ha trattato con Zandomeneghi. Lo scaricabarile imperversa quando ci si accorge che un primo accordo con l'«Immobiliare Europa» di Zandomeneghi era già stato sottoscritto nel 2001 per essere perfezionato, da Baccarini e Duce, il 7 febbraio del 2002, due settimane prima il congresso d'addio al Ppi. Tant'è. Se la frittata sembra fatta, nel partito si cerca comunque di correre ai ripari per recuperare il tesoretto immobiliare. A Castagnetti viene l'idea di chiedere il fallimento dell'«Immobiliare Europa». Ma non è facile. La società sembra solida, tant'è che il suo titolare per chiudere definitivamente la pratica stacca un assegno da un milione 136mila euro. Che Oliviero Nicodemo (oggi parlamentare del Pd, all'epoca segretario generale del Ppi e rappresentante legale) però non incassa, interessato com'è - per conto del partito - a tornare in possesso degli immobili. Angiolino Zandomeneghi storce il naso. Intima ai segretari amministrativi del Ppi e del Cdu di rispettare gli accordi e di dare seguito ai contenuti di una scrittura privata nella quale si impegnavano, tra l'altro, a svincolare le società vendute da una fideiussione bancaria per 36 milioni di euro. Come garanzia era stato messo nientemeno che Palazzo Sturzo all'Eur. In risposta i tesorieri dicono di non saperne nulla, ed anzi chiedono di incassare l'assegno precedentemente rifiutato. Angiolino risponde picche, ma sente di avere il fiato sul collo. Poi, però, nell'agosto 2002 i legali di Castagnetti si materializzano in tribunale chiedendo il fallimento dell'insolvente «Immobiliare Europa». Il motivo? Non ha saldato tutto il dovuto. Ventiquattr'ore dopo il giudice romano Pierluigi Baccarini (oggi sotto processo a Perugia) prende personalmente in carico il procedimento, forte di una precedente causa per fallimento di un'altra società che batteva cassa all'immobiliare di Zandomeneghi. Il giorno successivo invia le notifiche, e in una settimana fissa l'udienza per il 14 agosto alle ore 11. Zandomeneghi è sorpreso. Si domanda come abbia fatto il giudice Baccarini a sapere della presentazione dell'istanza di fallimento e riflette su quel che un suo collaboratore (che per la Dc gestiva il patrimonio immobiliare fin dai tempi di Citaristi) gli ha raccontato per averlo appreso dall'onorevole Oliviero Nicodemo. «Che in tempi non sospetti aveva millantato un'influenza proprio sul giudice Baccarini». In questo frangente - e parliamo del processo di Perugia - Zandomeneghi teme un'operazione politico-giudiziaria concordata per scippargli il patrimonio. Così denuncia il giudice Baccarini per tentata estorsione, e contestualmente dà inizio a una girandola di vendite «fittizie» per sfuggire alle iniziative degli eredi della Dc. Prima i beni passano dall'«Immobiliare Europa» a un suo fidato collaboratore. Poi a goderne sarà, per un breve periodo, Marino Corradi, altro prestanome che per qualche tempo diviene addirittura socio unico delle quattro società ammiraglie. Da qui, infine, il tutto si trasferisce a Silvano Mitrovic, un povero cristo residente in un bugigattolo a Buje, in Istria, e che ne diviene titolare, nel marzo del 2003, dopo che un altro prestanome, Paolo Borgo, anche lui sotto processo, gli aveva ceduto la carica. Le quattro società «proprietarie» dei 120 immobili confluiscono definitivamente nell'«Immobiliare Universo», fondata da Borgo e da Luca Degan, socio e amministratore unico della nuova creatura. La guardia di Finanza rincorre i protagonisti fino in Croazia, i fallimenti colpiscono un'immobiliare dopo l'altra, i due processi procedono su binari paralleli senza incontrarsi mai. La caccia al tesoro, ad oggi, s'è fermata. Il risiko societario si combatte duramente in tribunale. E tra nuovi «imprevisti» e «probabilità» la partita al Monopoli della Dc è destinata a non finire mai. I VERBALI DELL'IMMOBILIARISTA CHE FECE L'AFFARE «Signor giudice, è una storia kafkiana quella in cui sono rimasto coinvolto (...). Sono solo "responsabile" di aver deciso di non soccombere dinanzi a prepotenze ed illeciti posti in essere da certi soggetti che si dicono continuatori della Dc ma che nulla hanno a che spartire con le origini cristiane e la moralità dei fondatori di detto partito...». Angiolino Zandomeneghi non ci sta a passare per truffatore. In una memoria spiega d'essere lui la vittima di un raggiro organizzato da gente che «ha depauperato le casse della Dc con ruberie, spartizioni illegittime e appropriazioni indebite». Zandomeneghi racconta di essere venuto a conoscenza, nel 2000, della liquidazione del patrimonio immobiliare democristiano. Tramite Emerenzio Barbieri (segretario amministrativo del Ccd) prese contatto «col tesoriere Romano Baccarini, che stava trattando già la vendita» e con il quale aveva già concluso qualche affare. «Baccarini mi indusse a proseguire nella trattativa per acquistare altri immobili (...) Il mio interesse all'acquisto aveva una motivazione fiscale, essendo questi immobili intestati a società in caso di acquisto avrei potuto incorporare in altre mie società che portavano plusvalenze nei bilanci». Zandomeneghi svela qual era il piano dei tesorieri: «Il Ppi avrebbe ricavato dalla vendita danaro (...) e io mi sarei accollato alcuni debiti». Al pagamento del resto, «o meglio dell'unico debito del Ppi nei confronti della Banca di Roma gravante sulle società intestatarie degli immobili (Ser e Immobiliare) perché fideiubenti, si sarebbe fatto fronte con la vendita di Palazzo Sturzo all'Eur del valore di circa 70 miliardi di vecchie lire, peraltro già ipotecato dalla banca ed uscito "gratuitamente dal patrimonio del Ser insieme ad altri miliardi di immobili!"...». A un certo punto Zandomeneghi tira in ballo direttamente Pierluigi Castagnetti: «Della trattativa era perfettamente a conoscenza l'onorevole Castagnetti che conobbi nel corso di uno dei due incontri con lui avuti. Benedì l'operazione in corso, raccomandandosi al senatore Baccarini (in presenza del quale lo incontrai) perché l'affare fosse portato a conclusione». Dopo i primi accordi, si giunge alla firma del 7 febbraio 2002. Qui emerge «che il prezzo che avrebbe dovuto corrispondere l'Immobiliare Europa ammontava a circa 4 miliardi» di lire. Dopodiché si passa alla voltura delle azioni di due immobiliari della Dc in favore della sua Immobiliare Europa, «lasciando nelle mani del notaio - aggiunge -, un assegno di 1.136.205 euro che consegnò all'onorevole Duce e che costituiva il saldo del prezzo di vendita pattuito (...)». È a questo punto che entrano in campo, spiega Angiolino, i due nuovi tesorieri nominati dal Ppi, Nicodemo Oliverio (parlamentare del Pd) e Luigi Gilli, «i quali espressero per conto dei loro mandanti "idee" diverse sulla destinazione degli immobili». Oliverio e Gilli, insieme ai primi contrattatori (Rotondi, Duce e Baccarini) «proponevano un'azione di sequestro giudiziario delle azioni cedute dalle due immobiliari affermando che i tesorieri che le avevano volturate non erano legittimati al trasferimento». Gilli e Oliverio, dinnanzi al giudice, rifiutano l'assegno, insistendo nel rivolere indietro gli immobili. Il tribunale poi respinge il ricorso. «Veniva così ideato un piano illecito del Ppi per riappropriarsi ad ogni costo delle società e delle proprietà che una sentenza aveva detto essere state legittimamente trasferite all'Immobiliare Europa». Ad agosto 2002 il Ppi presenta istanza di fallimento contro l'Immobiliare Europa, «la cui discussione veniva miracolosamente fissata dal giudice Baccarini (sotto processo a Perugia, ndr) il 14 agosto». Per il Ppi la società di Angiolino era insolvente per non aver versato il prezzo residuo di compravendita, che, spiega Zandomeneghi, «qualche mese prima lo stesso Ppi aveva rifiutato di ricevere». Da qui la denuncia di Zandomeneghi per tentata estorsione. Angiolino respinge l'accusa di insolvenza. Conferma di non dover pagare il saldo del prezzo perché il Ppi non aveva liberato le società dalle fideiussioni (...). Il tribunale ne decreta però il fallimento. «Il Ppi prima aveva venduto gli immobili, poi chiedeva al giudice di averli usucapiti. Si passava da un tentativo di estorsione e si proseguiva con un tentativo di truffa aggravata». È a questo punto che, «per legittima difesa», Zandomeneghi decide di trasferire i beni in una nuova società: l'Immobiliare Universo. E da qui, di salvare i beni spostandoli prima a Bergamo e poi in Croazia. I VERBALI DI CASTAGNETTI Ecco le dichiarazioni rese a verbale da Pierluigi Castagnetti finite agli atti di ambedue i processi (Roma e Perugia) collegati alla sparizione del patrimonio immobiliare della Dc. Dice Castagnetti. «(...) In ordine alla gestione del patrimonio immobiliare, ricordo che dopo lo scioglimento della Dc i segretari politici del Ppi furono prima Martinazzoli e poi Buttiglione, mi sembra che all'epoca il tesoriere fosse Alessandro Duce. Dopo la scissione in Ppi-Gonfalone e Cdu i cui tesorieri sono stati due: Duce per il Cdu e Pierluigi Castellani per il Ppi (...).Non mi sono mai interessato del patrimonio immobiliare del Ppi (...). Il problema della vendita del patrimonio immobiliare del Ppi esisteva perché c'era la necessità di provvedere a coprire i debiti contratti dalla gestione della Dc. I debiti erano verso terzi e verso banche. Vi era quindi l'esigenza di vendere tutto il patrimonio ex Dc al fine di poter coprire i debiti con i ricavati delle vendite (...). Non ricordo esattamente l'entità dell'esposizione debitoria, ammontante sicuramente a qualche decina di miliardi di lire. Il patrimonio era gestito dall'ex deputato Romano Baccarini congiuntamente al tesoriere del Cdu (...). Al momento della mia elezione nella fine del '99, Baccarini venne confermato nella carica di tesoriere dal Consiglio nazionale. Tengo a sottolineare che i tesorieri del Ppi e del Cdu agivano congiuntamente per la gestione e per la vendita del patrimonio comune, anche in forza del vincolo creato dalla cosiddetta "sentenza Macioce" di liquidare definitivamente il patrimonio immobiliare della ex Dc (...). La scelta degli acquirenti per gli immobili da vendere veniva effettuata dai tesorieri dei due partiti, che avevano piena autonomia e titolo». Castagnetti entra così nel vivo del problema: «Il congresso del Ppi nel marzo 2002 decise di dar vita insieme al partito dei Democratici, dell'Udeur, di Rinnovamento Italiano, ad un nuovo soggetto politico denominato La Margherita (...) e questo organismo elesse un nuovo tesoriere: fino al marzo 2002 il tesoriere era Romano Baccarini. Il nuovo tesoriere fu votato nella persona di Luigi Gilli e contestualmente questo comitato assegnò la rappresentanza legale oltre che a Luigi Gilli anche al dottor Nicodemo Oliverio. Il patrimonio del Ppi non è confluito al partito della Margherita (...). Per vari motivi, forse anche di natura caratteriale, in quel periodo Baccarini non godeva più della fiducia del gruppo dirigente. Sicuramente tra i motivi vi era quello delle trattative per le vendite del patrimonio immobiliare a un prezzo che non ci sembrava congruo. Sicuramente pensavamo che la cessazione dalla carica del tesoriere in coincidenza del congresso del 2002 e la nomina di un nuovo tesoriere si sarebbe potuto intervenire in tempo utile prima della definizione del contratto di vendita (...). Ricordo con precisione che un mio collaboratore mi aveva segnalato che il prezzo non era sicuramente vantaggioso, anzi il congresso, con la nomina del nuovo tesoriere, avrebbe senza dubbio dovuto bloccare quel compromesso. Successivamente Luigi Gilli una volta preso possesso del suo incarico, mi riferiva che il potenziale acquirente era un soggetto che non dava garanzie. Non ho nessun motivo di sospetto su Baccarini, infatti quando gli contestai l'opportunità di quella operazione economica, lui la difese con argomentazioni tecniche a mio parere non condivisibili (...). I nomi dell'Immobiliare Europa e del signor Zandomeneghi mi sono stati riferiti da Gilli. Erano gli acquirenti di cui ho appena parlato, non ho mai visto Zandomeneghi Angiolino né so concretamente chi sia. Mi si diceva che era di Verona (...). Gilli mi riferì che l'Immobiliare Europa era stata dichiarata fallita ma non ricordo in che periodo. Non conosco nessun dettaglio della procedura fallimentare né conosco il dottor Baccarini che voi mi dite essere il giudice delegato alla procedura (...). Non mi risultano sollecitazioni per una trattazione in tempi rapidi (...). Se ebbi contatti con la segreteria del Cdu nell'imminenza del contratto di vendita? Alcuni mesi prima del marzo 2002 incontrai l'onorevole Buttiglione in piazza del Gesù al fine di sbloccare la situazione di Palazzo Sturzo sul quale gravava un'ipoteca di alcuni miliardi di lire (...). Lo scopo dell'istanza di fallimento dell'Immobiliare Europa era solo quello di bloccare la vendita e iniziare trattative o su basi nuove o con altri acquirenti».

02/03/2009

Documento n.7782

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