LA CASSAZIONE CIVILE FA IL PUNTO DELLA SITUAZIONE SUL TEMA DEI CONTRATTI DERIVATI
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
Dopo alcuni anni di fecondo dibattito giurisprudenziale all’interno dei Tribunali di merito italiani, nell’estate del 2017 si è finalmente segnalata una delle primissime pronunce della Suprema Corte di Cassazione in tema di contratti finanziari derivati.
Con sentenza del 31 luglio 2017, n. 19013, emessa dalla prima sezione civile, la Suprema Corte ha iniziato a fissare dei punti fermi in una delle materie più affascinanti e, al tempo stesso, controverse del mondo del diritto finanziario.
Due società immobiliari romane, dopo essere rimaste invischiate in distinte operazioni in derivati swap a copertura del rischio di rialzo dei tassi d’interesse, avevano agito in giudizio contro il gruppo Intesa Sanpaolo e si erano viste respingere le proprie doglianze nella duplice fase di merito in ragione della ritenuta loro appartenenza al novero degli “operatori qualificati”, alla stregua del noto disposto di cui all’art. 31 del vecchio “regolamento intermediari” emanato dalla CONSOB con delibera n. 11522 del 1998 e rimasto in vigore fino al 2 novembre 2007.
In particolare, nel caso che ci occupa, la Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto inapplicabili a favore dei clienti della banca – proprio in virtù del loro inquadramento nella categoria degli “operatori qualificati” – i generali obblighi di diligenza e fedeltà nell’espletamento del mandato a cui sono soggetti gli intermediari finanziari in ossequio all’art. 21 del d. lgs. n. 58/1998 (TUF) e, più specificatamente, all’art. 26 del citato regolamento CONSOB.
Dall’inapplicabilità delle prefate norme, i giudici milanesi avevano inferito l’assenza di qualsiasi ragione di nullità dei contratti derivati oggetto di causa e, al contempo, avevano escluso la sussistenza a carico della banca di qualsivoglia responsabilità contrattuale da inadempimento ai suoi obblighi di condotta.
Sul punto, la Corte d'Appello di Milano è stata smentita dalla Cassazione, che ha colto l'occasione per affermare che la norma dell’art. 21 TUF è da considerarsi sempre imperativa e inderogabile e dunque deve essere senz’altro ossequiata dagli istituti bancari a prescindere dalla circostanza se il cliente possa o meno ritenersi un “operatore qualificato”.
Anche l’articolo 26 del citato regolamento CONSOB del 1998 – che della norma del TUF costituisce attuazione – è stato ritenuto dalla Cassazione sempre applicabile, aldilà della tipologia di cliente, atteso che il successivo articolo 31 del medesimo regolamento non ne fa alcuna menzione tra le norme la cui applicazione va esclusa in relazione ai clienti qualificabili come investitori professionali.
Il cuore della pronuncia nomofilattica in rassegna attiene alla individuazione dei parametri di legittimità a cui deve ispirarsi ogni giudice all’atto di elaborare la sua valutazione sulla meritevolezza degli interessi perseguiti con un contratto derivato del tipo interest rate swap, alla stregua del noto principio di cui all’articolo 1322 del codice civile.
Com’è noto, rientrando i derivati nel genus dei contratti atipici, il giudizio sulla loro legittimità non può che essere condotto esaminandone la compatibilità con i principi generali del nostro ordinamento giuridico.
Secondo la Suprema Corte, affinchè una operazione in derivati swap possa dirsi legittima, occorre prima di tutto accertare che essa superi indenne lo scoglio del giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti coinvolte nel contratto.
E perchè tale giudizio sia positivo, deve ineluttabilmente risultare che la banca intermediaria abbia concretamente operato “nell’interesse del cliente investitore”.
Nella fattispecie all’esame della I^ sezione civile della Cassazione, è emerso che il derivato negoziato con banca Intesa Sanpaolo fosse stato presentato come uno strumento finanziario avente una precisa finalità di copertura.
Alla luce di tale rilievo, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto di elaborare la loro valutazione sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti ponendo a raffronto il prodotto swap al loro esame con i criteri generali dettati dalla determinazione Consob del 26 febbraio 1999 (DI/99013791).
La Cassazione ha ricordato che, in base alla prefata determinazione della Consob, un contratto derivato, perché possa assolvere ad una effettiva funzione di copertura, deve rispettare contemporaneamente tre condizioni: in primo luogo, esso deve essere stato congegnato con l’espresso fine di ridurre la rischiosità di altre posizioni detenute dal cliente; in second’ordine, occorre riscontrare una stretta correlazione tra le caratteristiche dello strumento finanziario e quelle inerenti l’oggetto della copertura; infine, è necessario che l’intermediario abbia adottato al proprio interno le procedure e misure di controllo atte a garantire il rispetto delle prime due condizioni.
A corollario di tale esposizione logico-argomentativa, i giudici della Suprema Corte hanno concluso per la insussistenza, nella fattispecie sottoposta alla loro attenzione, di una effettiva funzione di copertura dei derivati interest rate swap attesa, in particolare, la mancata correlazione tra gli strumenti finanziari e il concreto rischio che essi avrebbero dovuto coprire.
Più in particolare, i giudici ermellini hanno osservato che gli strumenti finanziari in essere “non risultano confrontarsi con singole e specifiche operazioni sottostanti, con copertura commisurata in modo puntuale sul rischio inerente a singoli debiti. Appaiono confrontarsi, bensì, con un indebitamento complessivo, come composto quindi da una serie articolata di debiti distinti, con decorrenza, scadenza e remunerazione diverse, che sarebbero stati contratti con una società appartenente allo stesso gruppo societario di Intesa San Paolo”.
Nel cassare, dunque, la sentenza di merito, la Cassazione ha rinviato la controversia alla Corte d’Appello di Milano, affidandole il compito di elaborare un giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dal contratto swap mediante una corretta applicazione anzitutto delle norme ex artt. 21 TUF e 26 del regolamento Consob del 1998 e, infine, trattandosi di derivati con dichiarata finalità di copertura, le ha chiesto di operare una verifica del rispetto delle condizioni stabilite dalla dichiarazione Consob del 26 febbraio 1999.
Nella prassi dei contratti del tipo interest rate swap, va detto che, in effetti, accade non di rado di riscontrare un disallineamento tra l’importo nozionale del derivato e l’entità dell’esposizione debitoria a tasso variabile di cui si vorrebbero ridurre i rischi per mezzo dello stesso derivato[1].
Pertanto, in tutti i casi in cui si riscontri tale disallineamento contabile, la pronuncia della Cassazione apre ai clienti delle banche una concreta speranza di fare valere dinanzi al Tribunale ordinario una ragione di nullità del contratto deducendo l’assenza di meritevolezza degli interessi sottesi al negozio, ai sensi dell’art. 1322 del codice civile.
[1] Nello stesso senso della pronuncia di luglio 2017 della Cassazione, si era già espressa la Corte d’Appello di Trento con sentenza 3 maggio 2013, n. 141 (pubbl. su www.derivati.info con nota a commento di G. Angiuli). L’organismo di merito aveva in quel caso sostenuto che, allorquando difetti la stretta correlazione tra il capitale nozionale di riferimento del derivato e l’entità dell’indebitamento in essere (e per la cui copertura la banca ha venduto il derivato), deve rilevarsi la nullità del contratto derivato per difetto di causa ex art. 1418, comma 2, cod. civ. in relazione all’art. 1325, n. 2, cod. civ.
11/07/2017
Documento n.10621