GENERALI: IL "BISONTE" DI MARINO CHE FACEVA IL TIFO PER "TRIESTE LIBERA"

in Articoli e studi
VINCITORI E "FINTI" DELLA GERONTOCRAZIA, PADRE-PADRINO DI TUTTI I POTERI MARCI - #1- IN FRANCIA PORTANO IN TRIONFO IL 'SARKO-FAGO' BOLLORÈ, CHE È RIUSCITO AD INCARTARE CON L'ASTUTO TARAK BEN AMMAR L'ANTICO 'TONIO' BERNHEIM CON UNA PRESIDENZA ONORARIA E A PORTARE A CASA PER SÉ LA VICEPRESIDENZA DI GENERALI - #2 - IL SECONDO PERSONAGGIO DI CUI NESSUNO HA SCRITTO, MA CHE A DAGOSPIA RISULTA AVER ESERCITATO UN RUOLO ESTREMAMENTE ATTIVO NEL RUSH FINALE DI VENERDÌ, È CALTAGIRONE, CON IL SUO 2% È IL SESTO AZIONISTA DELLA COMPAGNIA ASSICURATIVA - #3 - MENTRE IL TANDEM BOLLORÈ E CALTAGIRONE LAVORAVA ALACREMENTE, ALTRI PERSONAGGI, PASSERA, PROFUMO, PALENZONA, SI SONO DEFILATI PER PRUDENZA - #4 - PIPPA DELEGHE (DEDICATO A 'REPUBBLICA'): QUANDO MAI GERONZI HA AVUTO DELEGHE OPERATIVE IN CAPITALIA E POI IN MEDIOBANCA? IL POTERE SI PRENDE, NON SI CHIEDE - tratto da dagospia.it Sabato mattina alle 9 nelle edicole di Roma e dei Colli intorno alla Capitale non si trovava più una copia di "MilanoFinanza", il settimanale diretto da Paolo Panerai, il giornalista che dopo un periodo di freddo è andato poche settimane fa in pellegrinaggio nella sede romana di Mediobanca per regalare a Cesarone Geronzi una copia del suo libro "Lampi nel buio". La ragione va cercata nell'editoriale scritto da Paolo Panerai sulla conclusione della vicenda Generali che porta il 75enne banchiere sulla poltrona dell'irriducibile Antoine Bernheim. L'articolo di Panerai cominciava con queste parole: "Cesare Geronzi, quando era studente, manifestava attivamente per Trieste libera", un'affermazione assolutamente inedita che rappresenta un "lampo nel buio" nella biografia del banchiere di Marino "nato da una famiglia modesta che si è svenata per farlo laureare" (così ha scritto Giancarlo Galli nel libro "Giungla degli gnomi"). Nemmeno la moglie Giuliana e Gigi Vianello, il più stretto collaboratore di Geronzi, sapevano di questa passione giovanile per "Trieste libera", e adesso toccherà aggiungere il dettaglio sul sito internet che Geronzi stesso ha voluto per tagliar corto alle maligne interpretazioni sulla vita e sulla carriera. Fino a sabato si sapeva che da giovane giocava a scopetta, tresette e poker con grande abilità; poi con il passare degli anni è passato agli scacchi ed è diventato abilissimo nella mossa del cavallo. In realtà nella sua testa ha sempre avuto un solo principio guida: primeggiare per primeggiare. Ed è su questi presupposti che si è mosso da impiegato della Banca d'Italia fino all'ultima poltrona di Piazzetta Cuccia. Al ragazzo Geronzi è sempre mancato il vizietto della retorica e nelle rare volte in cui ha esternato l'ha fatto con brevi metafore del tipo: "volevano sparare al passero, hanno colpito un piccione", oppure con autentiche bugie di stampo andreottiano come quella pronunciata a fine ottobre dell'anno scorso quando a margine dell'Assemblea di Mediobanca disse: "non ho alcun interesse alla presidenza delle Generali". Adesso il dado è tratto e l'occupazione delle Generali rappresenta la mossa del cavallo che conclude la sua storia professionale. Per primeggiare nell'ultima tenzone Geronzi voleva l'unanimità e l'ha ottenuta liquidando le ipotesi e le voci fantasiose degli ultimi giorni dove giornalisti come Massimo Giannini si sono divertiti a tirar fuori le candidature di Grilli, Tronchetti Provera, Cardia, mentre quel burlone insaziabile di Paul Betts del "Financial Times" ha avuto la spudoratezza di scrivere che Mario Draghi sarebbe stato il candidato ideale per il Leone di Trieste. Per non parlare, poi, de "La Stampa" che trillava di un Perissinotto presidente. Secondo una metafora usata ai tempi di Banca d'Italia, il banchiere romano che a via Nazionale chiamavano "culo di pietra", indosserà il saio e con apparente sacrificio cercherà di far uscire dal torpore la seconda multinazionale italiana dopo l'Eni, quelle Generali che gestiscono 400 miliardi di asset e sono presenti in 66 paesi. Vale la pena di raccontare qualcosa sulle ultime ore di venerdì quando la mossa del cavallo ha chiuso la partita tra Piazzetta Cuccia e piazza dell'Unità d'Italia. Secondo gli uscieri di Mediobanca un ruolo fondamentale in quegli istanti è stato svolto da due personaggi. Il primo è Vincent Bollorè, il finanziere francese che è arrivato a Milano con il suo Falcon 900 con il cuore apparentemente spezzato. È toccato a lui infatti convincere l'irriducibile Bernheim e la moglie a fare un passo indietro e a scendere dalla poltrona di Generali dove lo stesso Bollorè l'aveva aiutato a rimettersi in sella nel 2002. Oggi il quotidiano francese "Les Echos" scrive che Bollorè, l'uomo con quattro figli e in grado di ospitare Sarkozy sullo yacht Paloma, è entrato al centro della finanza transalpina e ha raccolto l'eredità del vecchio "Tonio" (così gli amici più intimi chiamano Antoine Bernheim). Per arrivare a rimuovere di sella l'irriducibile Bernheim Grande Vecchio, il miliardario 58enne francese Bollorè ha fatto i salti mortali intercalati da spiritosi giochetti di parole. Resta il fatto che al di là delle battute sui "ragazzi" di Trieste (Perissinotto e Balbinot) e su quelli di Mediobanca (Nagel e Pagliaro), è riuscito con l'aiuto dell'astuto Tarak Ben Ammar a incartare Bernheim con una presidenza onoraria e a portare a casa per sé la vicepresidenza di Generali. Il secondo personaggio di cui nessuno ha scritto, ma che a Dagospia risulta aver esercitato un ruolo estremamente attivo nel rush finale di venerdì, è Francesco Gaetano Caltagirone, l'imprenditore romano che con il suo 2% in Generali è il sesto azionista della Compagnia assicurativa. Negli ultimi tempi il Calta, che solo un deficiente potrebbe definire ancora "palazzinaro", ha cementato amicizie trasversali nel mondo della finanza e della politica. Questo "pacchetto" di rapporti sembra aver pesato in maniera determinante nella designazione dell'amico Geronzi, e se questo è avvenuto, lo si deve soprattutto al fatto che a differenza degli altri azionisti di Mediobanca e di Generali, il Calta quando parla, parla come un uomo "solvibile" e quindi le sue parole hanno il peso di una moral suasion dietro la quale appaiono oltre 2 miliardi di liquidità. Adesso il 66enne imprenditore-editore-finanziere si prepara a presentare il conto nel salotto di Trieste, un colosso dove il patrimonio immobiliare è sterminato fino al punto da diventare una eterna polizza assicurativa. Mentre il tandem Bollorè e Caltagirone lavorava alacremente, altri personaggi si sono defilati per prudenza. Non parliamo di Corradino Passera, che è sempre stato tagliato fuori in nome dei rapporti diretti e personali di Abramo-Bazoli con Cesarone Geronzi, e nemmeno di Fabrizio Palenzona, il massiccio vicepresidente di Unicredit che con astuzia politica si è ritirato dietro le quinte. Forse la sua manona è spuntata in qualche flash dell'agenzia AdnKronos che fino a venerdì parlava di "soluzione ponte" con Bernheim e Perissinotto ancora in sella, ma l'ex-autotrasportatore ha capito di non avere dietro le spalle il peso di Unicredit e di Alessandro Profumo. Quest'ultimo se ne è andato in America per il road show e oggi deve vedersela con il Comitato Strategico che dovrà sciogliere il nodo della governance di Piazza Cordusio. Il banchiere genovese ex-McKinsey ha troppi cazzi per la testa per contare nella partita milanese-triestina. Se questa sera dalle urne si capirà che la Lega ha conquistato il Piemonte, per lui saranno dolori perché questo successo salderà il fronte delle Fondazioni che già in Veneto e Lombardia scalpitano per mandarlo a casa e far saltare il progetto di unificazione delle sette banche del Gruppo Unicredit. Diceva il marchese De Sade che "non bisogna esigere troppo dai lettori" e quindi la telenovela delle Generali e del banchiere di Marino che da giovane "manifestava attivamente per Trieste libera" può finire qui. Nei titoli di coda si legge ancora un brandello di polemica per ciò che riguarda le sue deleghe a Trieste. A questo proposito si ha l'impressione di parole strumentali perché se c'è una cosa di cui Geronzi si è preoccupato assai poco negli ultimi anni è proprio la definizione delle deleghe. L'ha dimostrato a Capitalia quando ha messo il giocattolo nelle mani di Matteuccio Arpe che per la tenera età e il carattere non ha capito l'importanza del mandato, e così ha fatto a Mediobanca dove le deleghe sono rimaste nelle mani del tandem Nagel-Pagliaro che oggi si ritrova a guidare la merchant bank di Piazzetta Cuccia. La stessa cosa il "camaleonte" Geronzi (come lo chiama oggi il quotidiano "Les Echos") farà alle Generali per tranquillizzare i "ragazzi" Perissinotto e Balbinot che hanno gestito la Compagnia in modo dignitoso, ma con una redditività che resta la più bassa tra i competitor europei. Anche loro, e in particolare Perissinotto che ha trafficato fino all'ultimo con Richard Holloway, faranno parte della governance e del nuovo corso che il Consiglio di amministrazione del 24 aprile sancirà definitivamente. Primeggiare per primeggiare. È questa l'unica delega che il "bisonte" di Marino vuole mantenere stretta nelle sue mani sapendo che dal palazzo asburgico di Trieste potrà orientare il futuro di TelecomItalia, Rcs e di altri asset fondamentali dell'economia. Lo farà senza deleghe formali, con sospetto spirito di sacrificio, e in nome di quel principio assimilato tanti anni fa in Vaticano e dal suo maestro Andreotti secondo il quale Roma non può abdicare alla finanza del Nord.

29/03/2010

Documento n.8543

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