ELEZIONI IN SARDEGNA: SARA' L'ULTIMA WATERLOO ?

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Massimo Giannini per La Stampa "Qui l'invasore non passerà", aveva detto con troppa sicumera Walter Veltroni, in chiusura di campagna elettorale. Invece, secondo i dati parziali dello spoglio, Berlusconi ha vinto anche in Sardegna. L'invasore non solo è passato. Ma ha dimostrato di essere il "padrone dell'isola". Ha confermato di essere il "padrone d'Italia". Se lo scrutinio finale non si discosterà dalle percentuali della notte, questo dice il risultato del voto regionale sardo. Trasformato fatalmente in un test di mezzo-termine, per il rapporto tra il Cavaliere e il Paese, per gli equilibri interni al Pdl e per il futuro del Pd. Nel rapporto tra il Cavaliere e il Paese (salvo sorprese clamorose nello spoglio definitivo) il voto della Sardegna evidenzia un dato politico incontrovertibile. La luna di miele tra il premier e l'Italia non è affatto finita. Nonostante le difficoltà del governo su scala nazionale, nonostante i morsi della crisi economica. Con questa vittoria, Berlusconi rinnova il mito del Leader Invincibile. A sconfiggere Soru non è stato Ugo Cappellacci, ma il premier in persona. "Ci ho messo la faccia", ha detto. E per questo ha vinto, battendo l'isola palmo a palmo, weekend dopo weekend. E ancora una volta, forte di questa personalizzazione della campagna, e di questa presidenzializzazione del voto, ha sbaragliato l'avversario. Ha spazzato via la logica antagonista sulla quale avevano contato Soru e il Pd: la Sardegna in carne e ossa del modello Tiscali e dei modernizzatori schierati per lo sviluppo sostenibile contro la Sardegna di cartapesta di Villa Certosa e dei ricchi cementificatori della costa. La banda larga di Renato contro la bandana di Silvio. Questo schema "sociologico" non ha retto alla prova dell'urna. Il dato politico dice che le percentuali di voto ottenuto in Sardegna dal Pdl e dal Pd (se saranno confermate dal risultato definitivo) ricalcano quelle già registrate alle ultime politiche: tra il 48 e il 50% il primo, tra il 44 e il 46% il secondo. È la conferma che il blocco sociale creato dal centrodestra è ormai strutturale, e non è scalfibile dal centrosinistra. Per gli equilibri interni al Pdl, con questa vittoria Berlusconi rafforza il ruolo del Sovrano Indiscutibile. Regola, una volta per tutte, i conti con la sua maggioranza. Quando c'è un voto da conquistare, quando c'è un consenso da rafforzare, non ce n'è per nessuno. Vince il Cavaliere, da solo. Può anche candidare un Carneade contro il parere dei suoi alleati, come ha fatto con Gianni Chiodi in Abruzzo. Può anche candidare il figlio del suo commercialista facendolo sapere agli alleati attraverso i giornali, come ha fatto con Cappellacci in Sardegna. Può anche candidare il suo cavallo, come fece Catilina (Giannini che lapsus! Anche Er Patata sa la storia Caligola, ndDago). Ma se poi è lui a corrergli in groppa, il traguardo finale è assicurato. Non c'è Bossi che tenga con i suoi diktat sul federalismo e i suoi distinguo sulla Costituzione. Meno che mai c'è Fini, con le sue difese lealiste di Napolitano e le sue pretese "laiciste" sulla bioetica. Chi vince ha sempre ragione, e comanda. Da domani, in un Pdl sempre più militarizzato, sarà probabilmente impossibile registrare il benché minimo caso di ammutinamento. E forse, vista l'esperienza sarda, sarà verosimilmente possibile che nell'Udc scatti di nuovo la tentazione di un arruolamento. Per il futuro del Pd, la sconfitta in Sardegna (se sarà ribadita dall'esito ufficiale) rischia di suonare come una doppia campana a morto. Innanzi tutto per Soru, che aveva a sua volta personalizzato questa battaglia, accreditando l'idea che un suo trionfo lo avrebbe accreditato per una "nomination" nazionale: a questo punto il suo sogno tramonta, e per quanto abbia inciso il voto disgiunto il governatore uscente non è riuscito a ripetere il miracolo del 2004, quando vinse grazie al sostegno di quei ben 94 mila elettori che votarono per lui e non per la coalizione. Ma soprattutto per Veltroni e per la sua leadership. Se fossero vere (e confermate) le prime indicazioni sul voto alle liste, il distacco patito dal Pd rispetto al Pdl sarebbe drammatico: oltre i 20 punti percentuali. Si avvicina il momento di una inevitabile resa dei conti per un "apparatciki" troppo autoreferenziale nella gestione del partito e troppo ondivago nell'azione politica. La ricomposizione della Sinistra Arcobaleno, alla luce della vicenda sarda, non è sufficiente. E ora cade anche l'illusione che Berlusconi si batta con un "uomo nuovo", fuori dalle nomenklature romane. Neanche questo basta a espugnare la fortezza del Cavaliere. Per Veltroni, e per il centrosinistra riformista, è un vicolo cieco. Per uscirne urge almeno un vero congresso. Da statuto, è previsto dopo le europee. Ma di questo passo c'è da chiedersi cosa resterà del Pd, dopo l'Election Day del prossimo giugno. 2 - L'ULTIMA WALTERLOO Augusto MInzolini per La Stampa L'elezione di Cappellacci alla presidenza della Regione Sardegna dal punto di vista politico rappresenta una vittoria di Silvio Berlusconi. Si potrà dire quello che si vuole, ma questo è un dato oggettivo racchiuso in una frase che ieri sera il capo del governo ha ripetuto più volte: «In queste elezioni io ci ho messo la faccia». Questa campagna elettorale, infatti, il premier l'ha giocata in prima persona, quando poteva starsene tranquillamente fuori, puntando addirittura su un candidato «semi-sconosciuto» per marcare una sorta di rinnovamento al di fuori dell'establishment tradizionale del Pdl. E - altro dato da non sottovalutare - andando avanti malgrado i mal di pancia degli alleati, con un Gianfranco Fini più piccato che mai perché informato della scelta di Cappellacci a cose fatte. Ma, soprattutto, il premier ha vinto sulla linea del "decisionismo", quella che più gli si addice: la fase cruciale della campagna elettorale è stata occupata dallo scontro con i vertici istituzionali sul decreto legge per Eluana, approvato dal Consiglio dei ministri ma respinto dal Quirinale; e proprio alla vigilia del voto da un altro decreto, quello anti-stupro, per il quale di fronte alla situazione che si è creata difficilmente Napolitano potrà contestare i requisiti d'urgenza (oggi il premier ne parlerà direttamente con il capo dello Stato al Quirinale). Una filosofia "politica" che ha avuto la sua applicazione anche in Sardegna quando Berlusconi - contro la politica dell'Eni - ha imposto che le industrie petrolchimiche di Porto Torres fermassero gli stabilimenti. Una politica, quella del "decisionismo", che ha spostato nelle ultime settimane consenso a livello nazionale così come in Sardegna: dopo il caso Eluana il Pdl nei sondaggi riservati del premier è tornato al di sopra del 40% (un tetto che non riusciva a toccare da sei mesi).«Ormai il Pd - ridacchiava ieri sera, Gaetano Quagliariello, sicuro della vittoria nell'isola - può contare su tre voti cattolici: quello di Rosy Bindi, quello di Giuseppe Fioroni e quello di Francesco Rutelli, sempre che sia credente». Appunto, ieri sera, già nella prima serata, c'era un certo ottimismo nello stato maggiore berlusconiano. Un ottimismo probabilmente determinato anche dalla sicurezza che Berlusconi ha sempre mostrato sull'esito finale del voto. Ieri per tutta la giornata - fatto strano - il premier non ha chiesto notizie sull'andamento dello scrutinio come se per lui l'esito fosse scontato. Impressione che hanno ricavato anche quelli che hanno parlato con lui in serata. «Questa vittoria - ha spiegato ai suoi interlocutori - è la dimostrazione che chi amministra bene il paese è premiato anche a livello locale. Anche i sardi si sono accorti che a Roma c'è un governo che governa e prende decisioni. Le quattro volte che sono andato in Sardegna in queste settimane mi sono limitato a dire quello che stiamo facendo anche per loro: abbiamo garantito ai sardi l'insularità e risolto il problema del gasdotto in Algeria. Per affrontare la questione del Sulcis ho chiamato addirittura Putin. Questa è la politica del fare. Una filosofia che dovrebbero adottare i nostri alleati di governo. Abbiamo vinto sul Pd di Veltroni che ha rispolverato i vecchi argomenti di una volta. Ma anche contro chi come Soru aveva l'ambizione di sostituirlo. Il problema è che questa sinistra - con le sue polemiche e le sue cattiverie - non ha una cultura di governo». Già, gli sconfitti. Lo scenario che si apre nel Pd è di quelli imprevedibili. Il gruppo dirigente è in piena confusione. E anche l'ipotetica alternativa Soru - caldeggiata anche nel mondo dei "media" vicini al centrosinistra - è venuta meno. Veltroni rischia di finire sul banco degli imputati prima del previsto. Come spiegava qualche settimana fa un personaggio mite come Pierluigi Castagnetti «il Pd potrebbe cambiare leader prima delle Europee». I segnali ci sono tutti. Il movimentismo di D'Alema negli ultimi tre giorni è diventato spasmodico. Alla vigilia del voto l'ex-premier ha sparato contro Emma Marcegaglia proprio quando il leader Pd stava tentando di stipulare una tregua con la Confindustria. Lo stesso giorno ha appoggiato il competitor di Veltroni alla guida del Pd, Bersani. E, ancora ieri, ha demolito la politica dell'attuale numero uno dei democratici, sconfessando l'idea di «un Pd autosufficiente» e riaprendo il confronto con la sinistra massimalista. Insomma, Veltroni ora deve farsi due conti: continuare a resistere, sapendo che le Europee potrebbero segnare una sconfitta storica per il Pd, trasformandosi in una pietra tombale per tutte le sue ambizioni politiche, presenti e future; o giocare in anticipo, dimettendosi ora e accusando i suoi avversari di aver sabotato la sua linea politica («C'è chi dentro il partito rema contro - è stato il suo sfogo ieri sera - e questi sono i risultati»). Qualunque strada scelga, quello che non deve ripetere è l'errore che ha commesso nell'ultima settimana, quando per risollevare le sorti del Pd ha riproposto il vecchio schema della resistenza sotto l'icona di un personaggio impopolare come Oscar Luigi Scalfaro contro il Cavaliere nero che vuole attentare alla Costituzione e alla libertà del paese. Una formula trita e ritrita e inefficace (la manifestazione di giovedì scorso è stata un mezzo fallimento,) con la quale il Veltroni "disperato" di oggi ha archiviato di colpo il Veltroni "pieno di speranze" del Lingotto.

17/02/2009

Documento n.7764

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