da Repubblica.it (20-11-05) Caro-sportello, clienti spremuti e banche sempre più ricche

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Caro-sportello, clienti spremuti e banche sempre più ricche MILANO - Il 2005 del mondo bancario non andrà agli annali solo per i casi Antonveneta e Bnl. Mentre i riflettori della cronaca sono rimasti accesi sulle due scalate, gli istituti italiani, zitti zitti, hanno continuato a macinare utili. Nei primi nove mesi dell’anno - prendendo solo i dati delle prime 10 banche del paese - il bottino ha raggiunto quota 8,6 miliardi (56% rispetto al 2004). Quasi 1 miliardo al mese di guadagni al netto delle tasse. Una pioggia di soldi che regalerà agli istituti di casa nostra un 2005 da record. Le spiegazioni del boom sono tante. I vertici di molte banche hanno varato piani di risparmi sui costi che iniziano ora a dare i loro frutti. Così come nei bilanci di qualche big è arrivata in questi mesi qualche plusvalenza straordinaria (il risultato operativo è cresciuto "solo" del 27%). Ma l’incredibile exploit, visto con gli occhi di chi sta in coda dall’altra parte dello sportello, è difficile da capire. Come fanno le banche a guadagnare così tanto mentre l’economia del paese arranca e le famiglie faticano a far quadrare i conti a fine mese? Il sospetto di molti è sempre lo stesso: che a riempire di utili i bilanci del settore, alla fine, siano i clienti "tosati" dal caro-prezzi dei conti correnti. Un po’ - sicuramente - è una semplificazione. Dettata dal fatto che le banche di casa nostra, da Cirio, Parmalat e Argentina in poi, non godono proprio di una reputazione specchiata. In questo caso però i dubbi della gente finiscono spesso per coincidere con i numeri ufficiali e con il parere di chi, di banche, mastica qualcosa: "Quelle italiane sono le più care d’Europa", ha sentenziato un mese fa Lorenzo Bini Smaghi, membro tricolore del board della Bce. E anche l’ex ministro del Tesoro Domenico Siniscalco, certo non un arruffa-popolo, ha espresso più o meno lo stesso concetto. Non solo. Lo studio 2005 di Capgemini sui costi dei servizi bancari ha ribadito anche quest’anno che il costo medio di un conto corrente nel Belpaese (252 euro) è largamente al di sopra della media Ue (130 euro). E persino la ricerca messa in campo dall’Abi per confutare questi conti - stilata dalla Mercer Oliver Wyman - fatica a nascondere i problemi: "Il livello medio dei prezzi in Italia ponderato per i vari tipi di conti è superiore del 30-40% alla media europea". Senza oltretutto che si intraveda qualche segnale di moderazione visto che dal ’98 a fine 2004, in base ai dati Istat, l’aumento dei prezzi dell’indice bancario è stato del 48% contro il +17% dell’indice generale. Piazza Affari dà però anche altre spiegazione a questo 2005 d’oro: per gli analisti il segreto - visto che i costi erano già alti l’anno scorso - sarebbe soprattutto l’esplosione del credito al consumo e dei mutui ipotecari. I prestiti per comprare la casa garantiscono ricchi guadagni in termini di commissioni e rappresentano un’attività relativamente priva di rischi, visto che il privato difficilmente diventa moroso sulle rate del mutuo. Non solo. I mutui casa si portano dietro anche un’altra serie di servizi accessori, in larga misura coperture assicurative sui vari rischi legati all’immobile e al reddito familiare, che fanno guadagnare altri soldi alle banche. Poi c’è il credito al consumo: il fenomeno è appena emergente in Italia ed ha ancora ampli spazi di miglioramento. L’indebitamento delle famiglie italiane rispetto al pil è pari a un terzo di quello che hanno accumulato i vicini francesi, mentre il raffronto con gli americani non è nemmeno proponibile, tanto sono lontani quei valori. Ebbene, queste due voci - credito per gli acquisti e mutui - stanno crescendo a due cifre e rappresentano una buona fetta degli utili delle banche. Per tutto quest’anno, inoltre, sono andate avanti le vendite a piene mani di obbligazioni strutturate. Che, nel caso in cui abbiano il marchio di fabbrica di una banca diversa da quella venditrice, consentono ancora per questo periodo di contabilizzare per intero le commissioni di sottoscrizione (le cosiddette front fee) invece di spalmarle su più esercizi. E lì, per le banche, è arrivata un’altra bella parte di guadagni, insieme a tutte le altre voci di bancassurance. I risparmiatori danno così il loro contributo pagando fior di commissioni. Per le associazioni dei consumatori, le banche provano a convincerli a spostare i loro soldi verso strumenti come le obbligazioni strutturate proprio perché sono i prodotti su cui riescono a guadagnare di più. A gonfiare il conto economico nel 2005 non sono però solo i privati. Se è vero che su di loro gli istituti hanno fatto man bassa, la clientela corporate, cioè le imprese, ha pure avuto un ruolo importante. Non con l’attività tipica di una banca, quella di prestare soldi a fronte di investimenti, ma proprio con l’aiuto a fronteggiare la crisi economica. Che, come sempre, porta un gran lavoro di ristrutturazione, finanza straordinaria, fusioni e acquisizioni, consulenza che si sono tradotti in una buona fonte di ricavi bancari. Le polemiche sul caro-conti non possono nascondere nemmeno un’altra realtà: il taglio ai costi di gestione operato negli anni scorsi con saggezza da molti istituti. Il rapporto tra spese e entrate è migliorato per tutti e ormai è considerato molto alto se supera il 60%, contro il 70% di pochi anni fa. Non a caso, il Roe - il principale indicatore di redditività - nel campione considerato va da un minimo del 10% della Popolare Milano fino alla vetta massima rappresentata da Unicredit (23,1%). Valori ancora lontani da molti concorrenti continentali, soprattutto gli inglesi, ma inimmaginabili fino a pochissimo tempo fa. La speranza dei loro clienti è che adesso le banche italiane avvicinino i livelli d’eccellenza dei rivali stranieri non solo sul fronte della redditività, ma anche su quello dei costi per i consumatori.

20/11/2005

Documento n.5274

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