da Dagospia (15-6-06). MOGGI, PAIRETTO E BERGAMO DOVEVANO ESSERE ARRESTATI DOPO IL MONDIALE

in Rassegna Stampa
MOGGI, PAIRETTO E BERGAMO DOVEVANO ESSERE ARRESTATI DOPO IL MONDIALE LA FUGA DI NOTIZIE "DOLOSA" HA AFFOSSATO L'INCHIESTA DEI MAGISTRATI DI NAPOLI I PM DI TORINO SCENDONO IN CAMPO: MADDALENA E MARABOTTO - ACCUSE ALL'ARMA Le cose dovevano andare così. Il Mondiale "liscio". Poi, a luglio, la luna nera. A giochi chiusi, Luciano Moggi, Pierluigi Pairetto e Paolo Bergamo devono essere arrestati. In primavera, i pubblici ministeri di Napoli si mettono al lavoro per argomentare le richieste di custodia cautelare. Con i due designatori degli arbitri e il direttore generale della Juve, guai anche per Franco Carraro (presidente della Federazione Gioco Calcio), Innocenzo Mazzini (vice), Francesco Ghirelli (segretario generale), Maria Grazia Fazi (segretaria della Can, commissione arbitri). Per loro, interdizione dalle funzioni. Le fonti di prova che, per i pubblici ministeri, rendono necessario l'arresto declassano in inviti a comparire quando il segreto istruttorio è manomesso e l'inchiesta sul calcio italiano si trasforma in una storia di fuga di notizie, infedeltà istituzionale, intercettazioni manipolate. In una cronaca di indagati che conoscono le parole che li accusano e possono concordare - sereni - gli argomenti che possono salvarli. Gli avvocati di Napoli dicono che l'inchiesta sul calcio è stato il segreto meglio custodito della storia giudiziaria partenopea. Impresa laboriosa in un palazzo di giustizia attraversato da spifferi caldi che hanno fatto epoca nella lotta al crimine organizzato. In questa occasione, al contrario, nessuno sa. I due pubblici ministeri Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci mostrano in giro l'aria distratta di chi ha ben altro a cui pensare che non a partite accomodate. Il trucco ha buon esito. I due pubblici ministeri, per tutto il giorno, lavorano all'ordinario. Quando nel tardo pomeriggio il falansterio giudiziario di Napoli si svuota, i due si mettono al lavoro sulla pila di intercettazioni trasmessa dalla seconda sezione del Nucleo operativo dei carabinieri di Roma. Non è che gli indagati se ne stiano con le mani in mano. Il più intrigante, Massimo De Santis, è in movimento già dall'ottobre 2004. L'arbitro di Tivoli confida nelle sue fonti al Csm. Cerca di capire che cosa cova. Con la prima richiesta di proroga delle indagini (aprile 2005), gli indagati hanno la conferma che qualcosa si muove. Sono vigili e in tensione. Moggi, soprattutto. "Lucianone" ammette (interrogatorio, 15 maggio 2006): "Ero preoccupato per gli sviluppi dell'indagine di Napoli. Prima del febbraio 2005, chiesi all'amico Marabotto - al sostituto procuratore di Torino Giuseppe Marabotto - di interessarsi della questione". Moggi non sa che le sue telefonate sono controllate né è in grado di dire chi informa Marabotto, eletto a "consigliere giuridico". Le mosse dei due non sfuggono agli investigatori. Scrive la polizia giudiziaria: "Si registrano contatti telefonici con magistrati e conversazioni tra gli indagati in cui si fa riferimento a magistrati. Tra gli altri, Maurizio Laudi (procuratore aggiunto di Torino e giudice federale), Giuseppe Marabotto, Antonio Rinaudo (sostituto procuratore di Torino), Cosimo Maria Ferri (giudice del tribunale di Massa Carrara, ufficio vertenze della Figc)". Nell'aprile del 2006 tutte le carte sono ancora coperte. Meglio, sembrano coperte. Una telefonata svela che il segreto è di carta velina. Il capo della procura di Torino, Marcello Maddalena, nell'ultima settimana di aprile, chiama il suo collega Giovandomenico Lepore, procuratore capo di Napoli. Chiede lumi sullo stato di avanzamento dell'inchiesta. Il procuratore napoletano casca dalle nuvole, ma dissimula la sorpresa. Come fanno i "torinesi" a sapere? Chi li ha informati? Torino sostiene oggi che la fonte è un ufficiale dei carabinieri di Roma. In quel momento l'inchiesta (della cui esistenza, la stampa darà notizia soltanto il 5 maggio) si scopre "malata". Già intorno all'indagine torinese, conclusa con l'archiviazione di Moggi e Pairetto, si era creato un circuito confidenziale che utilizzava informazioni riservate per pilotare gli avvenimenti. Nel settembre 2005, Berlusconi, informato con riservatezza da Franco Carraro, discute con Moggi a Palazzo Grazioli del dossier, "privo di rilievi penali", che il procuratore Maddalena ha spedito al presidente della Figc. Di quell'incontro, ufficialmente si sa soltanto quel che ne riferisce Silvio Berlusconi: "Moggi, di sua iniziativa, è passato a trovarmi nella sede di Forza Italia, per farmi i complimenti per una cosa che si era verificata. Abbiamo parlato delle intenzioni della terna Moggi-Giraudo-Capello". Ufficiosamente, fonti vicine a "Lucianone" raccontano un'altra storia. Con il consueto sorriso, come per un bon mot, il presidente onorario del Milan spiega come sarebbe importante che i rossoneri vincessero lo scudetto nell'anno delle elezioni. Con ciglio preoccupato, il premier si interroga sul futuro della patata bollente caduta da Torino nelle mani di Carraro. Fa qualche domandina svagata sul modo di fare di Diego Della Valle, presidente onorario della Fiorentina. Il premier, qualche mese dopo, non si trattiene e vuota il sacco in pubblico. A Vicenza, il 18 marzo, accusa il patron della Tod's di comportamenti opachi protetti dalle toghe rosse: "Gli imprenditori come Della Valle, che appoggiano la sinistra, hanno scheletri nell'armadio e sono sotto il manto protettivo di Magistratura Democratica". Si riferisce a quel dossier del calcio di cui ancora nessuno sa nulla? Sette mesi dopo, la storia è più complicata. L'inchiesta è fuori del controllo esclusivo della giustizia sportiva. Quei magistrati di Napoli quali assi hanno in mano? Che cosa preparano? Nella prima settimana di maggio, a Roma, c'è l'incontro tra le procure di Napoli e di Torino (primo esito del colloquio telefonico tra Maddalena e Lepore). Oggi, tra i due uffici non corre buon sangue, ma quel che conta è altro. E' un fatto che, con il segreto ormai violato, i napoletani sono costretti a fare un passo indietro. Trasformano le richieste di arresto in avvisi a comparire. Anticipano la discovery e, con essa, il metodo di indagine, i contatti tra gli indagati, la qualità "negativa" dei loro colloqui. Svelano la coerenza tra gli accordi manipolatori e ciò che avviene, poi, sui campi di calcio e alle classifiche. E' un fatto che l'imbarazzo dei "torinesi" cresce. Hanno chiuso precipitosamente un'indagine che i "napoletani" si sono covati come una chioccia le uova. I risultati ora sono in centinaia di intercettazioni che documentano l'esistenza di un Sistema che governa il calcio italiano e lasciano intuire la geografia di poteri. E' un duopolio. Ha i suoi cardini nel predominio del Milan su diritti televisivi e Lega e nel potere della Juventus su Federazione e arbitri. Può contare sulla docile cedevolezza di cinque squadre: Inter, Roma, Lazio, Parma, obtorto collo della Fiorentina. Il "mondo a parte" del calcio è tutto qui. Due Soli e cinque Satelliti che si spartiscono, in parti molto diseguali, il "core business" dei diritti televisivi organizzando uno spettacolo posticcio dove la vittoria va in alternanza a due squadre (Milan e Juve) e viene lasciata alle altre cinque l'opportunità di contendersi la vetrina internazionale (e i milioni) della Champions League. In primavera, il problema è preservare il Sistema dagli impiccioni. Accade così qualcosa che abbiamo scorto già all'opera nei casi "Bpi-Antonveneta" e "Unipol-Bnl": è la formazione di un mercato illecito di informazioni riservate alimentato dal cuore stesso delle istituzioni, capace di orientare l'opinione pubblica. Produce un'affrettata discovery che deforma e paralizza il lavoro dei pubblici ministeri, offrendoli impotenti alla prova del fuoco dei primi interrogatori. Un esempio può aiutare a capire. Quando ascolta quel che ha detto al telefono nei colloqui con Moggi, (interrogatorio del 25 maggio), Paolo Bergamo si dice "esterrefatto". Non trova altra parola, il poveretto. Sembra un giovanotto sorpreso a rubacchiare nel portafoglio della nonna. Quasi si arrende. Stupefatto, appunto. Naturale che i pubblici ministeri vogliano approfittare dello smarrimento per raccogliere una più autentica testimonianza. E' il loro maligno mestiere: indebolire gli attori per comprendere la trama della storia. A questo servivano anche gli arresti. Sarebbero stati domiciliari. Senza possibilità di comunicare con l'esterno. L'accusa voleva isolare Moggi, Pairetto e Bergamo dal loro ambiente. Da pressioni, complicità, magari ricatti. I pm falliscono. E tuttavia il peggio deve ancora affacciarsi. Giorno dopo giorno, in tranche, in parziali segmenti, in intercettazioni singole, in sequenza temporale, il materiale raccolto nelle indagini si sversa in pubblico con la potenza del getto di un geyser. Vengono pubblicate anche intercettazioni mai trascritte e colloqui mutilati o manipolati per sottrazione. Conversazioni scherzose, e per questa ragione eliminate dai pubblici ministeri, sono offerte come "prove che inchiodano" (è il caso della conversazione tra Lorenzo Toffolini, team manager dell'Udinese e Leonardo Meani, delegato per gli arbitri del Milan). Addirittura, appare un atto di indagine che non risulta agli atti. Il contenuto è soltanto verosimile, riguarda il rapporto tra il Milan e gli arbitri. Il numero di protocollo è un falso (Borrelli è venuto a capo del trucco, appena l'altro giorno). E' un modus operandi che abbiamo già visto in azione nell'estate del 2005, quando intercettazioni ancora non agli atti dell'inchiesta di Milano e neppure mai trascritte (colloquio Consorte-Fassino) sono offerte ai giornali. La novità è che a Napoli, l'ufficio del pubblico ministero individua il luogo e le persone che, uniche, hanno potuto violare il segreto. I nomi sono ora, nero su bianco, negli atti trasmessi alla Procura di Roma. C'è un'accusa grave in queste carte. La fuga di notizie, sostengono a Napoli, è stata così imponente e distruttiva che deve essere stata "autorizzata dal comando del Nucleo Provinciale dei carabinieri di Roma e da alti ufficiali dell'Arma da cui gerarchicamente dipende quella struttura". Soltanto qualche falso ingenuo oggi può credere che la fuga di notizie sia un lavoretto storto che si consuma tra pubblici ministeri e cronisti. Si scorge un'altra realtà, più raffinata. Aree infedeli delle istituzioni utilizzano la fuga di notizie per mutilare il lavoro dei pubblici ministeri confidando nell'ansiosa competizione dei media. L'eterogenesi dei fini fa il resto. Ne sortisce un "vietnam" politico-giudiziario-informativo in cui ognuno ci mette del suo per colpire sotto la cintola l'avversario. A metà maggio, il lavoro di scasso ha offerto il suo bottino squisito. Tutti sanno tutto. I protagonisti malmessi sanno che cosa hanno detto, quando e come lo hanno detto; che cosa gli sarà contestato in un eventuale interrogatorio o testimonianza. Il programma degli impiccioni di Napoli salta. Era ambizioso. I pubblici ministeri erano convinti di poter ricostruire addirittura un ventennio di storia di "calcio sporco" (1986/2006), dimostrare la continuità del Sistema e la discontinuità tra la gestione di Italo Allodi e la mano di Luciano Moggi. Ne vedono addirittura la nascita quando Allodi cade per un'inchiesta del pubblico ministero di Torino, Giuseppe Marabotto, che vent'anni dopo ritroviamo "consulente giuridico" del "nuovo gestore" del Sistema. Armando Carbone, che fu "l'uomo di mano" di Italo Allodi, racconta (interrogatorio del 20 maggio 2005): "Quell'operazione giudiziaria fu architettata da Luciano Moggi per prendere il posto di Allodi. Non ho esitazioni a riferire che il giudici Marabotto e Laudi furono strumenti di Moggi e sono persone con le quali Moggi ha continuato a intrattenere rapporti fino ad oggi... Marabotto, ogni volta che io - imputato in quell'inchiesta - provavo a parlare del Torino e della Juventus, mi rispondeva che bisognava parlare di altro. Laudi (allora sostituto procuratore e giudice dell'ufficio inchieste Figc) mi disse che della Juve non bisognava parlare". Il castello accusatorio (e la promessa di verità) mostra il suo sfinimento quando ha inizio il pellegrinaggio di testimoni come Pierluigi Collina: "Moggi? Credo che millantasse. Pairetto e Bergamo? Non ho elementi per dire se dipendessero dai poteri forti" (interrogatorio, 16 maggio). L'inchiesta è morente. Non può dare più alcun risultato. I pubblici ministeri di Napoli se ne rendono conto quando dinanzi a loro appare Claudio Lotito (9 giugno). Il presidente della Lazio parla, chiacchiera, straparla. Maneggia l'intero fascicolo delle informative dei carabinieri meticolosamente annotate. Pretende di farsi da solo le domande. Di darsi da solo le risposte. Quando le risposte potrebbero sollecitare pericolose curiosità, tronca il flusso verbale appellandosi alla facoltà di non rispondere. La procura di Napoli decide di fermarsi. La fuga di notizie ha ottenuto il suo scopo. Quell'immenso materiale istruttorio che poteva condurre a significative fonti di prova non è più utilizzabile. Si va al deposito di atti che già tutti conoscono. I pubblici ministeri si conservano tre sole carte, ancora. Le presunte responsabilità della Commissione di appello federale (i giudici di merito della Figc). Le rivelazioni di segreto di ufficio che coinvolgono carabinieri, poliziotti, finanzieri, magistrati. E, infine, l'indagine accurata sulla "madre di tutte le partite truccate". Lecce-Parma 3-3 (29 maggio 2005). C'è un sospetto. Perché quella partita, ultima di campionato, doveva finire proprio con quel risultato, 3-3? Perché tra le 2.187 combinazioni ancora possibili e capaci di decidere il destino di chi doveva andare in serie B, è stato combinato proprio quell'esito? L'arbitro De Santis avrebbe potuto lavorare di fino, come ha dimostrato di saper fare, per dare la vittoria al Lecce e dannare alla B il Parma. Era il modo più semplice per salvare la Fiorentina, come stava a cuore al Sistema. Il 3-3 è un risultato astruso, ma forse assai fine. Quel 3-3 può portare diritto nel cuore dell'affare che il Sistema non governava, ma di cui si approfittavano gli uomini del Sistema. Le scommesse clandestine. Dagospia 15 Giugno 2006

15/06/2006

Documento n.6083

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