BANCA ROMANA: DALLE BANCONOTE CLONATE AL DENARO DAL NULLA DEI DERIVATI ! BANCHIERI E GOVERNATORI ALLA TANLONGO NON PAGANO MAI IL CONTO.

in Articoli e studi
di Nicola Mascellaro (Gazzetta del Mezzogiorno) 1893 - La Banca Romana ... Una fase del processo Tanlongo, governatore della Banca Romana Verso la fine del ‘92 si discute alla Camera la proroga di 6 anni da concedere alle diverse banche sparse sul territorio nazionale aventi la concessione di stampare moneta per conto dello Stato. Erano i famosi Istituti di Emissione a cui il neonato Regno d’Italia aveva affidato questo compito non avendo ancora nè le strutture adatte nè tanto meno un ordinamento bancario. Ma, proprio prima di votare il decreto di concessione, vengono fuori voci e illazioni circa presunte irregolarità. Il Presidente del Consiglio Giolitti, agli esordi di quella che sarà poi l'era giolittiana, chiese ed ottenne un’accurata ispezione di tutti gli Istituti di Emissione da parte della Commissione di vigilanza parlamentare. Era il 30 dicembre 1892 e il 20 gennaio 1893 la commissione accertava che la Banca Romana aveva abbondantemente abusato della concessione affidatale. Bisogna sapere che, per ogni Istituto di Emissione, il Parlamento del Regno stabiliva delle quote di banconote da coniare e quindi far circolare. La Banca Romana era stata autorizzata a stampare 60 milioni di lire. Al momento dell’ispezione risultò invece che la Banca aveva fatto stampare e messo in circolazione ben 113 milioni. Lo scandalo fu enorme ma il fatto in sè era ben poca cosa rispetto a coloro che vi erano implicati. Furono immediatamente arrestati il governatore della Banca, il senatore Bernardo Tanlongo ed il cassiere barone Lazzaroni. Tanlongo si appellò subito alla sua immunità parlamentare ma poi venne fuori che in realtà la proposta di nomina, fatta dallo stesso Giolitti, non era stata ancora approvata e, mentre Giolitti si affrettava a ritirarla, Tanlongo finì a Regina Coeli. Man mano che la commissione visitava gli Istituti di Emissione appariva chiaro che, chi più chi meno, tutti avevano abusato della concessione parlamentare e di fronte al dilagare degli scandali il governo prese due decisioni: la liquidazione della Banca Romana e la legge che istituiva dal 1° gennaio ‘94 la Banca d’Italia. La domanda però che tutti si posero fu: chi ha beneficiato di quelle enormi, eccedenti somme di denaro oltre al Tanlongo e Lazzaroni? Il potere politico, dissero gli imputati. Il primo nome che venne fuori fu quello dell’onorevole De Zerbi che, per il disonore, un mese dopo morì di crepacuore. Insieme a lui si parlò di altre 72 alte personalità pubbliche fra deputati e senatori oltre a tutti i nomi altisonanti del bel mondo dell’alta finanza romana. Il Tanlongo rincarò la dose affermando che vi erano implicati anche tutti i Presidenti del Consiglio fin dal 1885. Le somme versate servivano per finanziare le personali campagne elettorali. Anche Giolitti, che confermò, aveva ricevuto 60mila lire. Il caos e la paura in Parlamento erano indescrivibili. Si tenta di coprire o di affossare l’inchiesta in tutti i modi e quando ci si accorge che Giolitti stesso affronta l’intera questione con risolutezza l’on. Colaianni esclama, in pieno Parlamento, che non è giusto diffamare l’onorabilità di uomini onesti dopo aver subito la sofferenza di non poter far fronte ai propri impegni. Viene nominato quindi un Comitato di 7 persone con l’incarico di presentare al Parlamento un’indagine accurata su tutti gli Istituti di Emissione e sui personaggi implicati. Per questi ultimi, il Comitato deve presentare un plico a parte che proprio per la dichiarazione fatta dall’on. Colaianni sarà chiamato: plico delle sofferenze. Per avere un’idea dell’enormità dello scandalo basti sfogliare un qualunque giornale dell’epoca. Per l’intero anno non si parlerà d’altro ed anzi, alla fine dell’anno, proprio quando Giolitti sembra essersi rafforzato all’interno del partito, tanto da far intravedere al vecchio Crispi il viale del tramonto, la compagine giolittiana cade. A quell’epoca il Parlamento chiudeva verso la fine di agosto e riapriva a novembre. Il giorno di riapertura della Camera, il Comitato dei 7 presenta la sua relazione. Sono due incartamenti, un plico esplicita i fatti, l’altro contiene i nomi dei sofferenti. Giolitti propone di leggerli e darli entrambi alle stampe, altri due deputati propongono di leggere e stampare la prima parte mentre il plico delle sofferenze deve essere depositato presso l’archivio segreto di Stato. Si vota per la proposta Giolitti ed il Parlamento la boccia. Giolitti è troppo orgoglioso per ingoiare il rospo ed il giorno dopo rassegna le dimissioni del suo gabinetto al Re. E’ giovane, diranno in molti, non ha l’esperienza di Crispi, è al suo primo incarico. Il Re dapprima chiede all’onesto Zanardelli di formare la nuova compagine ministeriale, sicuro anche lui che il paese vuole tutta la verità e, quando anche Zanardelli fallisce, non gli resta che affidarsi a Crispi nonostante sia noto che tra i due grandi non corra buon sangue. Crispi rifarà il Governo e la prima proposta approvata è quella di conservare nell’archivio segreto dello Stato il plico delle sofferenze. Il paese non saprà mai chi e quanti furono implicati nello scandalo. Al danno poi si aggiunse la beffa: Bernardo Tanlongo e Compagni risultarono innocenti di truffa ai danni dello Stato e quindi assolti. Durante il processo si parlò di un gran numero di documenti sottratti da Giolitti e pare che anche Crispi ne fosse a conoscenza perchè riguardavano proprio lui. Essendo entrambi coinvolti, Crispi non immaginava certo che Giolitti li avrebbe resi pubblici. S’ingannava: e fu un capolavoro di arguzia politica. Giolitti era caduto il primo giorno della riapertura della Camera nel novembre dell’anno precedente e voleva riservare a Crispi la stessa sorte. Lasciò che i giornali parlassero dei famosi documenti sottratti per tutta l’estate e, alla riapertura della Camera, presentò il plico con i famosi documenti sottratti. Avvenne il pandemonio e per evitare un voto di sfiducia sulla legge finanziaria in discussione, Crispi chiese al Re una sospensiva parlamentare in attesa che si calmassero le acque. Il Re, anche questa volta a malincuore e disgustato, accettò la proposta di Crispi ma poi cambiò idea e decretò lo scioglimento dell’assemblea con nuove elezioni generali. La Banca Romana aveva colpito ancora

19/01/2010

Documento n.8425

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