Sentenza Trib. Larino su anatocismo. Da avv. De Benedittis

in Sentenze e testi di legge
N. 480/2001 R.G. UDIENZA DEL 15/12/2004 Dr. N. COLANTONIO TRIBUNALE DI LARINO COMUNICAZIONE DI ORDINANZA PRONUNCIATA FUORI DELL’UDIENZA (artt. 176 e 311 C.P.C.) Il Collaboratore di Cancelleria del suddetto ufficio Comunica AL P.M. – SEDE Avv. Carmine de Benedittis C/CANCELLERIA proc. Di (omissis) Avv………………………………..C/CANCELLERIA proc. Di (omissis) Che il G.I. dr. L. LUCIOTTI In data 18/08/2004 ha pronunciato,nel procedimento civile fra le parti sopra indicate,la seguente ORDINANZA COME DA ALLEGATA COPIA LARINO,lì 18/08/2004 Il Giudice, a scioglimento della riserva formulata all’udienza del 23.06.2004; Preso atto che il procuratore degli istanti chiedeva l’emissione dell’ordinanza di cui all’art 186 quater c.p.c.; Rilevato che l’istruttoria può considerarsi conclusa e che,allo stato,la domanda attrice trova conferma nelle risultanze della CTU espletata; Osserva: Gli istanti, (omissis),asserivano di essere titolari del conto corrente n. 27-1106 acceso presso il (omissis),Agenzia di Larino.Ciò posto,gli esponenti chiedevano la dichiarazione di nullità della clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e,conseguentemente,la restituzione di tutte le somme illegittimamente trattenute dall’istituto di credito in forza di tale clausola. In fatto,si rileva che nel contratto di conto corrente,all’art 57,le parti stabilivano che gli interessi debitori dovessero essere contabilizzati trimestralmente e che il tasso degli interessi fosse determinato con riferimento “all’uso piazza”. Fatta questa premessa,preme segnalare che,in forza del disposto dell’art.1284 c.c.,gli interessi in misura ultralegale devono necessariamente essere determinati e previsti per iscritto.Sul punto,si stima necessario evidenziare che la costante giurisprudenza di legittimità (Cfr.Cass. n. 10657/96,11042/97),in forza di tale presupposto,considera nulle le clausole contrattuali che determinano la misura del tasso di interesse in maniera generica e “de relato”,con riferimento agli usi o alle N.U.B.:in forza del disposto dell’art.1421 c.c. la detta nullità ha carattere assoluto e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.Ne segue che,nel rapporto in esame,in assenza di una determinazione precisa e puntuale,gli interessi passivi devono essere calcolati al tasso legale. Passando ad analizzare la questione inerente l’asserita nullità della clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi,preme segnalare che l’anatocismo può essere definito come la capitalizzazione degli interessi dovuti affinché questi producano a loro volta nuovi interessi (in sostanza,si contabilizzano gli interessi sulla sorte capitale aumentata dagli interessi già maturati).Nel nostro ordinamento è previsto che gli interessi possano produrre a loro volta interessi solo nel rispetto delle condizioni di legge:fuori delle ipotesi tassativamente previste è nulla qualsiasi clausola che preveda la capitalizzazione anatocistica degli interessi.In particolare,si rileva che l’art. 1283 c.c. stabilisce che,in mancanza di usi contrari,gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza,e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi.Per inquadrare la problematica,così come si pè sviluppata nell’ambito delle pronunce della Suprema Corte di Cassazione,occorre considerare la tematica inerente la fonte normativa degli usi e la sua incidenza nell’ambito della valutazione delle clausole solitamente inserite nei formulari predisposti dagli istituti di credito.Invero,si rileva che la consuetudine costituisce una (l’unica) fonte normativa non scritta e di livello terziario,ed in quanto tale sotto-ordinata alla legge ed ai regolamenti:nelle materie riservate alle fonti superiori l’uso può operare solo se espressamente richiamato (art.8 delle preleggi) e non può mai porsi in contrasto con norme imperative (consuetudine secundum legem);di contro,nelle materie non riservate alle norme superiori l’uso può trovare piena applicazione (consuetudine praeter legem).La consuetudine scaturisce dal ripetersi di un determinato comportamento che i consociati pongono in essere dal ripetersi di un determinato comportamento che i consociati pongono in essere sulla convinzione della sua obbligatorietà e non già per libera scelta.Stima opportuno ricordare che gli usi normativi vanno distinti dagli usi negoziali:i primi nascono dalla convinzione generale dei consociati (opinio iuris et necessitatis) della loro valenza normativa,ovvero della loro capacità integrativa della legge,ed operano,pertanto,sul piano degli effetti,dettando nel caso di specie la regola applicabile,in quanto ad essi la legge esplicitamente rinvia(usi secundum legem);i secondi operano a livello meramente contrattuale,attenendo al solo momento della formazione del negozio giuridico ed integrandone il contenuto.In sostanza,può affermarsi che gli usi normativi si pongono a livello delle fonti del diritto (i consociati vi fanno riferimento in quanto ritengono che gli stesi vadano ad integrare una determinata disciplina normativa in un dato settore) e trovano applicazione generalizzata,purché,ovviamente,non contrastino con norme di rango superiore.Gli usi negoziali rilevano solo nel momento di formazione di ogni singolo contratto e,ovviamente,non possono andare ad integrare o modificare norme giuridiche.Ciò posto,è d’uopo affermare che solo gli usi normativi,pertanto idonei ad integrare norme di rango primario,possono ritenersi richiamati nel disposto dell’art.1283 c.c. e sono in grado di derogare al divieto dell’anatocismo:gli usi normativi,a differenza degli usi negoziali o contrattuali,sono idonei a determinare la produzione degli interessi sugli interessi anche oltre i limiti stabiliti nell’art.1283 c.c..Sulla scorta di tale premessa,può porsi compiutamente attenzione alla problematica inerente la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nell’ambito dei rapporti di conto corrente bancario. Invero,solitamente la clausola n.7 (clausola n.57 nel contratto in esame) dei formulari predisposti dall’A.B.I. (generalmente usati dagli istituti di credito nell’ambito dei contratti di conto corrente bancario) prevedeva espressamente che gli interessi passivi dovuti dal cliente venissero capitalizzati trimestralmente sulla sorte capitale dovuta.Per lungo tempo,la Suprema Corte di Cassazione aveva ritenuto la legittimità di tale tipo di clausola (inizialmente in riferimento all’apertura di credito in conto corrente,poi allo sconto bancario ed infine al contratto di mutuo) sul presupposto che la stessa si basava su un uso “normativo” bancario (e non negoziale) idoneo a derogare il divieto stabilito nell’art.1283 c.c..La Suprema Corte era solita affermare che: “nell’ambito delle operazioni tra istituto di credito e cliente,l’anatocismo trovava generale applicazione attraverso i comportamenti della generalità dei consociati che agivano con il convincimento di adempiere ad un precetto di diritto,presentando i caratteri obiettivi della costanza,generalità e durate ed il carattere subiettivo della “opinio iuris” che contrassegnava la norma giuridica consuetudinaria vincolante;ne discendeva che,in forza del disposto dell’art.8 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile (il quale stabilisce che nelle materie regolate da leggi o regolamenti gli usi normativi hanno efficacia se richiamati nelle stesse leggi e negli stessi regolamenti) e dell’art.1283 c.c. (il quale ammetteva l’anatocismo in caso di usi normativi),gli usi bancari consentivano,in deroga al divieto stabilito nel primo comma dell’art.1283 c.c.,che gli interessi scaduti producessero “altri interessi”.La Suprema Corte di Cassazione mutava repentinamente orientamento con due famose decisioni emesse nell’anno 1999 (Cfr.Cass.nn. 2374/99 e 3096/99),alle quali seguivano una serie di affermazioni conformi (Cfr. tra le più recenti: Cass.nn. 14688/03,13739/03,12222/03,2593/03) idonee ad imporre la formazione di una interpretazione innovativa,univoca e consolidata sul punto. In particolare,la Suprema Corte di cassazione ha tenuto ad affermare che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal cliente,nell’ambito del rapporto di conto corrente bancario,ovvero di mutuo,in quanto basata su un uso negoziale (pertanto,non idoneo a derogare al divieto espresso dall’art.1283 c.c.),ma no su una vera e propria norma consuetudinaria,doveva ritenersi nulla in quanto formata in epoca anteriore alla scadenza ed in quanto prevedeva un periodo di capitalizzazione inferiore rispetto a quello minimo stabilito per legge (sei mesi). E conseguenze scaturite dal nuovo corso interpretativo (che,come segnalato,andava a sconfessare una pratica che da anni aveva posto gli istituti di credito in posizione di privilegio),capace di incidere in maniera drastica e dirompente negli equilibri economici esistenti,inducevano il Legislatore ad intervenire con una disciplina normativa (Decreto Legislativo n. 342/99) diretta da una parte a disciplinare,ed ammettere,per il futuro il criterio di capitalizzazione degli interessi nel settore bancario,dall’altro a cercare (inutilmente per intervento della Corte Costituzionale) di salvaguardare la validità delle clausole anatocistiche presente nei contratti sottoscritti in epoca antecedente. In particolare,l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/99,senza prevedere una abrogazione espressa dell’art.1283 c.c.,andava a completare il disposto dell’art. 120 del T.U. in materia bancaria (Decreto legislativo n. 385/93).In primo luogo,si prevedeva che il C.I.C.R.(Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio) avrebbe dovuto stabilire le modalità ed i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria,affermando in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”. La disciplina in esame scaturiva da una norma speciale di settore capace di derogare alla norma generale sull’anatocismo prevista nel Codice Civile.Conseguiva che,per l’epoca successiva alla entrata in vigore della disciplina citata,l’anatocismo nei rapporti di conto corrente bancario,in deroga a quanto previsto dall’art.1283 c.c.,diventava legittimo,purché fosse applicato nel rispetto delle modalità e dei criteri stabiliti dal CICR,e sempre che trovasse piena applicazione i9n maniera eguale sia nei rapporti debitori che creditori.Il CICR dava seguito alla previsione normativa,con delibera del 09.02.2000 che ammetteva la possibilità di capitalizzazione degli interessi sia debitori che creditori senza alcun limite (in conseguenza,era ed è tutt’ora – possibile,ove pattuito,anche la capitalizzazione giornaliera).Peraltro,mette conto segnalare che la delibera CICR,agli artt. 2 e 7,vieta espressamente la capitalizzazione in relazione ai conti correnti chiusi.La seconda novella introdotta dal decreto Legislativo n. 342/99 andava a far salve le clausole anatocistiche (che,di contro,la Suprema Corte di Cassazione riteneva nulle) previste nei contratti di conto corrente stipulati in epoca antecedente alla delibera CICR e per l’epoca successiva si prevedeva l’adeguamento,pena l’inefficacia rilevabile solo dal cliente. In sostanza,preme evidenziare come il Legislatore prendeva atto della fondatezza delle statuizioni della Cassazione in ordine alla interpretazione delle clausole anatocistiche precedenti:si poneva il problema della nullità delle clausole previste per tutti i contratti di conto corrente stipulati in epoca antecedente sulla scorta dei formulari dell’A.B.I..In forza di tale riflessione,il Legislatore cercava di salvaguardare il sistema bancario con una norma retroattiva che andava a legittimare una prassi ritenuta,altrimenti,illecita. La novella determinava il ricorso alla Consulta da parte di molti Giudici di merito che ritenevano il disposto normativo in esame in contrasto con i principi espressi dalla Costituzione. La Corte Costituzionale (Cfr. Corte Cost. n. 425/00),facendo propri parte dei rilievi dei Giudici di merito,pur non entrando nel merito della questione,dichiarava la incostituzionalità dell’art.25,comma terzo,del Decreto Legislativo n.342/99 riconoscendo la esistenza di un eccesso di delega del Governo rispetto ai limiti imposti dal Parlamento. Per completezza,non può tacersi che,nella prassi,si riscontrano tutt’ora alcune decisioni di merito che,ponendosi in contrasto con le determinazioni ormai univoche della Cassazione,riconoscono la piena legittimità delle clausole anatocistiche sottoscritte in epoca antecedente la delibera CICR,(da ultimo Tribunale di Vasto n.79/03 G.U. Carosella;Trib.Bari 28.02.01;Trib.Firenze 08.01.01).La maggior parte delle dette statuizioni tornano a riaffermare il carattere normativo della consuetudine anatocistica.Alcune giustificano la tesi applicando ai contratti di conto corrente bancario le norme specificate nel codice civile in tema di contratto di conto corrente ordinario:in particolare,facendo riferimento al disposto dell’art.1831 c.c. che stabilisce espressamente che “la chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite nel contratto o dagli usi e,in mancanza,al termine di ogni semestre,computabile dalla data del contratto”; inoltre,adducendo che l’art.1825 c.c. stabilisce che sulle rimesse decorrono gli interessi stabiliti,non solo in ipotesi di rinnovazione del contratto scaduto,ma anche in caso di semplice continuazione. Si ritiene che le argomentazioni espresse,nelle decisioni successive al 1999,della Suprema Corte di Cassazione sul punto siano coerenti,logiche e giuridicamente ineccepibili.Invero,non può dubitarsi,alla luce della predisposizione unilaterale ed autoritativa da parte degli istituti di credito (le clausole sono generalmente predisposte quali condizioni generali di contratto nei formulari dell’A.B.I.),della natura meramente contrattuale della consuetudine che stabilisce nel settore bancario l’applicazione delle clausole anatocistiche: la predisposizione unilaterale delle stesse esclude che possano configurarsi come regole spontaneamente create ed applicate da tutti i cittadini (i quali,di contro,le subiscono per la predisposizione generalizzata di tutti i formulari predisposti dagli istituti di credito);non sussiste,quindi,”l’opinio iuris et necessitatis”.Sul punto,preme segnalare,che autorevole dottrina evidenzia la esistenza di una evidente antinomia tra le condizioni generali di contratto e la consuetudine:questa,per natura,non può essere imposta dal contraente più forte,ma deve essere considerata spontaneamente alla stregua di una norma giuridica di tutta la collettività.Per completezza,si segnala che il contratto di conto corrente bancario ha una disciplina peculiare (stabilita negli artt.1852 e segg c.c.) che la distingue rispetto a quella prevista per il contratto di conto corrente ordinario;segue,quindi,che i detti istituti non possono essere accomunati e disciplinati allo stesso modo.In particolare,preme segnalare che l’art. 1857 c.c. limita l’applicazione al contratto di conto corrente bancario delle sole disposizioni regolanti il conto corrente ordinario di cui agli artt.1826,1829 e 1832 c.c.:alcun riferimento viene fatto alle norme di cui agli artt.1831,1823 e 1825 c.c. (poste a sostegno della legittimità delle clausole anatocistiche da coloro che ne sostengono la legittimità). Segue,quindi,che solo nel contratto di conto corrente bancario c’è la possibilità di disporre in ogni momento del saldo attivo ovvero di procedere alla compensazione tra conti diversi; mentre nel conto corrente ordinario occorre aspettare la chiusura del conto. In conclusione,deve affermarsi che il contratto di conto corrente bancario ha una sua disciplina peculiare che non può subire implicazioni per l’applicazione in via analogica di norme non espressamente richiamate.Pertanto,occorre riaffermare che la particolare natura del contratto di conto corrente bancario prevede un diverso criterio contabile rispetto al contratto di conto corrente ordinario:solo nel primo,invero,è possibile l’immediata disponibilità del saldo.Consegue che,in forza delle norme codicistiche,non è possibile ritenere applicabile la capitalizzazione anatocistica degli interessi durante la vigenza del rapporto di conto corrente bancario,che contabilmente e strutturalmente si presenta unitario. In guisa che,allo stato,sulla scorta del consolidato ed univoco indirizzo espresso dalla Suprema Corte di Cassazione,deve affermarsi che le clausole contrattuali,sottoscritte in epoca antecedente alla efficacia della delibera CICR,che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori devono ritenersi nulle per contrasto con la norma imperativa di cui all’art.1283 c.c.;parimenti nulle devono ritenersi le clausole anatocistiche successive che non si pongono in linea con le direttive del CICR. Dal punto di vista processuale,è opportuno ricordare che si tratta di una tipica ipotesi di nullità assoluta (ai sensi dell’art.1418 c.c.,per contrasto con la norma imperativa di cui all’rt.1283 c.c.),in conformità a quanto stabilito dal disposto dell’art.1421 c.c.,che può essere eccepita (dalla parte) o rilevata (dal Giudice) in ogni stato e grado del processo (Cfr.Cass Civ.n. 11772/02). A seguito della dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale,si pone il problema di verificare se permane,comunque,la possibilità di capitalizzazione degli interessi in un arco temporale rispettoso del limite minimo di cui all’art.1283 c.c.,ovvero se la caducazione della clausola determina la inapplicabilità di qualsivoglia forma di capitalizzazione. Secondo un primo orientamento,che parte dal presupposto che la “ratio” del disposto dell’art.1283 c.c. sia la necessità di evitare scadenze dell’obbligazione di interessi particolarmente ravvicinate,deve trovare applicazione il disposto dell’art.1284 c.c. che stabilisce nell’anno il termine di scadenza naturale degli interessi:termine congruo e sufficientemente ampio per precludere l’effetto di moltiplicazione automatica del debito che l’art. 1283 c.c. mira ad evitare con il vietare scadenze infrasemestrali.Quindi,si ricorre al termine di cui all’art.1284 c.c. che stabilisce che il saggio di interesse è determinato in ragione dell’anno;nell’anno scadono gli interessi,quindi nell’anno si procede alla contabilizzazione ed alla capitalizzazione.Inoltre,si sostiene che la capitalizzazione annuale sarebbe conforme ad un uso normativo,comunque,non in contrasto con la norma dell’anatocismo. Secondo un altro orientamento,certamente più rispettoso dei principi giuridici espressi nel codice civile e che ha trovato l’avallo di autorevole giurisprudenza di merito (Cfr. Corte di Appello di Torino,Sez,III Civile,Sentenza n.64 del 21.01.02),deve escludersi la possibilità di procedere a qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi debitori,a seguito della caducazione per nullità della clausola anatocistica.Invero,il disposto dell’art.1284 c.c. si limita a prevedere il criterio di computo degli interessi su base annuale,ma nulla dice in merito all’anatocismo:l’unità di misura dell’interesse è l’anno,ma ciò non comporta assolutamente la capitalizzazione annuale dello stesso (in sostanza,anno per anno si calcolano gli interessi sulla sorte capitale originaria,al netto degli interessi già maturati).Inoltre,preme segnalare che non si comprende come la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori costituirebbe una imposizione subita dalla clientela,mentre quella semestrale (o annuale) sarebbe il frutto di una spontanea adesione ad un uso normativo:uso,che ove esistente,è certamente caduto in desuetudine non essendo contestabile che,almeno a partire dal 1952,la capitalizzazione degli interessi debitori non ha avuto cadenza annuale o semestrale. Pertanto,si ritiene ragionevolmente di aderire a tale ultima soluzione:in conseguenza,può affermarsi che la nullità della clausola comporta l’integrale inefficacia di qualsivoglia forma di capitalizzazione operata dalla banca nel tempo. Ciò posto,appare evidente che il cliente,sulla scorta della statuizione di nullità della clausola,avrà diritto di ripetere dall’istituto di credito tutte le somme indebitamente trattenute in forza della capitalizzazione degli interessi passivi. Peraltro,si stima opportuno segnalare che il divieto dell’anatocismo incide anche sulla determinazione della Commissione di Massimo Scoperto ( Cfr. Cass.n. 11772/02).L’azione costituisce una tipica ipotesi di ripetizione d’indebito soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale (art.2946 c.c.).Non trova,quindi,applicazione il più breve termine di cui all’art.2948 ,n.4,c.c. di cinque anni stabilito specificamente per gli interessi.Il cliente non agisce per il pagamento di interessi,ma si limita a richiedere indietro le somme che la banca ha,in forza di una clausola nulla,indebitamente trattenuto a suo danno.In relazione alla determinazione del momento in cui il credito del cliente diventa esigibile e,pertanto,comincia a decorrere il termine di prescrizione,preme segnalare che le operazioni poste in essere nell’ambito di un conto corrente bancario,a differenza del conto corrente ordinario,non determinano l’insorgenza di autonomi rapporti di credito o di debito reciproci tra il cliente e la banca,ma rappresentano ‘esecuzione di un negozio unico.Segue,quindi,che il termine di prescrizione comincia a decorrere solo dal momento di chiusura del conto corrente e non dal momento in cui si realizzano le singole partite debitorie e creditorie.In particolare,la Suprema Corte di cassazione (Cfr. Cass. 2262/84) ha tenuto a precisare che “il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un’apertura di conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto,trattandosi8 di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico,anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi,sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti delle parti tra loro “. Sulla scorta di tali considerazioni ed in forza del disposto dell’art.186 quater c.p.c.,deve dichiararsi la nullità della clausola contrattuale che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e la determinazione del tasso di interesse con riferimento “all’uso piazza”.Di guisa che gli istanti,per la rispettiva quota ereditaria,hanno diritto alla ripetizione di tutte le somme indebitamente trattenute dall’istituto di credito convenuto in forza della detta clausola.Fatta questa considerazione,preme segnalare che il C.T.U.,con argomentazione logica,coerente e tecnicamente ineccepibile,depurando il rapporto di conto corrente in esame dalla capitalizzazione trimestrale (escludendo qualsiasi forma di capitalizzazione) ed applicando gli interessi al tasso legale,nonché determinando la CMS sulla scorta di detti criteri,ha rilevato che gli istanti hanno diritto alla ripetizione della somma complessiva di EURO 42.683,43, di cui EURO 35.406,71 per interessi indebitamente trattenuti ed EURO 7.276,72 per CMS erroneamente calcolata. Per completezza,è necessario rilevare che il C.T.U. ha precisato che l’Istituto di Credito,in concreto,ha applicato e contabilizzato tassi di interesse superiori rispetto ai tassi soglia previsti dalla legge n.108/96.Tale considerazione determina la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Larino per le valutazioni di competenza. Le spese di lite,liquidate in dispositivo ai sensi dell’art.186 quater c.p.c.,seguono la soccombenza e vanno poste a carico esclusivo dell’ente convenuto. P.Q.M. Visto l’art.186 quarter c.p.c.,condanna,sulla scorta dell’accertata nullità della clausola del contratto di conto corrente inerente la determinazione del tasso di interesse e la capitalizzazione trimestrale,la società (omissis) s.p.a.,in persona del legale rappresentante pro tempore,alla restituzione in favore di (omissis),in ragione della rispettiva quota dell’eredità di……,della complessiva somma di Euro 42.683,43,oltre interessi legali dal 31.12.01 al saldo;Condanna la società(omissis) in persona del legale rappresentante pro tempore,alla refusione in favore di(omissis) delle spese di lite che si quantificano in Euro 2.260,00 di cui Euro 140,00 per spese,Euro 980,00 per diritti,Euro 1.140,00 per onorario,oltre IVA,CAP e rimborso forfettario spese generali come per legge;pone le spese di C.T.U. a carico dell’Ente convenuto. Dispone la trasmissione degli atti alla Procura della repubblica sede; Rinvia per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 15.12.2004; Si comunichi. Larino,30.07.2004 Il CANCELLIERE IL GIUDICE

04/10/2004

Documento n.4163

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