MADOFF AFFONDA L'ITALIA ED I PROFESSIONISTI DELLA FINANZA

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MADOFF AFFONDA L’ITALIA - le vittime questa volta sono i professionisti della finanza – UNICREDIT è ESPOSTA PER 100 MILIONI € E LA SUA PARTECIPAZIONE IN BANK MEDICI (2,1 MLD €) – Quel viaggio nel fondo Kingate, dalle Bermuda fino all’Italia… 1 - Bank Medici (25% Hvb) rischia 2,1 miliardi di dollari Antonella Olivieri per "Il Sole 24 Ore" Il presidente della Consob, Lamberto Cardia, è atteso questa mattina al Comitato per la stabilità finanziaria costituito dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per riferire sulle implicazioni italiane del crack Madoff, il broker di Wall Street finito in dissesto lasciando un buco di 50 miliardi di dollari. Il crack, secondo quanto accertato finora dalla Consob, non ha mietuto molte vittime in Italia, anche perchè nel Vecchio continente il centro di "smistamento" principale per i fondi direttamente o indirettamente gestiti da Madoff era la Confederazione elvetica, da sempre riservata custode di ingenti patrimoni. Non a caso anche l'Autorità bancaria svizzera ha aperto un'indagine per verificare fino a che punto siano coinvolte le banche private e i fondi di Zurigo, Ginevra e Lugano che amministrano anche le ricchezze di molti italiani. Ma ora è emerso che anche l'Austria, altro polo europeo per il private banking d'alto bordo, non è rimasta indenne. Infatti ieri è uscita allo scoperto Bank Medici, denunciando che due suoi fondi avevano affidato a Madoff tutto il loro patrimonio: 2,1 miliardi di dollari. Bank Medici è partecipata al 25% dal gruppo UniCredit attraverso Bank Austria (gruppo Hvb) e nel suo consiglio di sorveglianza siede uno dei vice-presidenti dell'istituto di Piazza Cordusio Gianfranco Gutty. I rapporti tra Bank Medici e Madoff risalgono a metà degli anni '90 - sono dunque precedenti l'acquisizione di Hvb da parte di UniCredit - e sono riconducibili a Sonja Kohn, titolare del 75% della banca e amica di vecchia data di Madoff. L'elenco compilato dalla Consob dovrebbe riguardare comunque solo le Sgr che fanno capo all'Italia: Banca Aletti, i cui clienti sono esposti per 60 milioni di euro, i fondi Pioneer con 280 milioni di dollari; Duemme, la Sgr di Banca Esperia, per un importo contenuto; mentre Mediobanca, attraverso la controllata monegasca Cmb, ha 671mila dollari di esposizione in conto proprio. Secondo l'ufficio studi di Mondo Hedge, complessivamente, i fondi speculativi italiani sono della partita per 80 milioni di euro, lo 0,5% del loro patrimonio. Hanno poi denunciato un'esposizione al crack Madoff anche UniCredit (100 milioni di dollari), Banco Popolare (8 milioni di euro) e da ultimo Ubi banca per 60,5 milioni di euro. Occorreranno comunque almeno sei mesi per ricostruire i risvolti della gestione patrimoniale clandestina di Bernie Madoff, dopo che sono state scoperti i primi documenti falsificati. «La documentazione contabile in questo caso è altamente inaffidabile», ha riferito Stephen Harbeck, presidente della Securities investor protection corp, la cassa di garanzia creata dal Congresso Usa e alimentata dalle società di intermediazione. La Sipc, che ha una dotazione di 1,6 miliardi di dollari e può garantire perdite individuali fino a 500mila dollari (ma non investimenti), ha ottenuto dal Tribunale di New York la nomina di un fiduciario, Irving Picard, per valutare quanto possa essere ancora recuperato dagli asset della Bernard Madoff Investment Securities. Comunque briciole, a fronte di un buco da almeno 50 miliardi di dollari, secondo quanto rivelato dallo stesso Madoff, prima di essere arrestato, a due dipendenti senior della società che, si è scoperto poi, altri non erano che i suoi stessi figli, Mark e Andrew. Mentre l'Fbi indaga e una squadra di funzionari della vigilanza è all'opera nell'ufficio blindato al 17-esimo piano del Lipstick building per vagliare la documentazione, emergono quotidianamente dettagli sconcertanti sulla gestione clandestina dell'ex presidente Nasdaq. Per alcune sedute è stato calcolato per esempio che se Madoff avesse effettivamente operato in opzioni quanto dichiarato avrebbe movimentato da solo più scambi dell'intero mercato. Ma a chi chiedeva spiegazioni veniva risposto che le opzioni erano state negoziate over-the-counter. Peccato però che nessuno si sia premurato di controllare se ciò fosse plausibile. 2 - Quel viaggio nel fondo Kingate, dalle Bermuda fino all'Italia... Morya Longo per "Il Sole 24 Ore" Numero 20 della centralissima St. Jame's street di Londra. Anche qui, a un passo da Piccadilly, si è abbattuto l'uragano della frode di Bernard Madoff. Al quinto piano di una palazzina come tante c'è infatti la sede della Fim Advisers Llp, società di gestione e di advisory guidata da due italiani: Carlo Grosso e Federico Ceretti. Due professionisti stimati, a Londra. Che, a metà degli anni '90, hanno fatto una scelta di cui oggi si pentono amaramente: sono diventati distributori (insieme ad altri)del fondo Kingate delle Bermuda, uno dei tanti fondi gestiti da Madoff. Ottimi guadagni per anni. Solo rabbia ora, per una frode di cui Ceretti e Grosso - a detta di chili conosce -non sapevano nulla. Frode che ha "bruciato" oltre 3 miliardi di dollari di Kingate. Che ha sfiorato poi il Banco Popolare, che con Fim Advisers aveva un rapporto di consulenza. E che, secondo le ricostruzioni del Sole- 24 Ore, potrebbe avere toccato anche la famiglia Bassani del gruppo Wally. Si è invece salvata Eurizon, che aveva anch'essa Fim come advisor. È per questo che la vicenda di Grosso e Ceretti (simile a migliaia di altre in giro per il mondo) diventa emblematica: testimonia come una truffa si sia propagata nel mondo. Non tra i soliti piccoli risparmiatori: le vittime questa volta sono i professionisti della finanza. Da New York fino all'Europa, Italia inclusa, passando per le spiagge delle Bermuda. Dalle Bermuda a Londra La vicenda di Grosso e Ceretti inizia nel 1981, quando a Londra fondano la Fim Advisers. Inizialmente si occupano di gestioni patrimoniali e poi, dai primi anni '90,si specializzano in fondi di fondi hedge. È nel 1994-95 che Ceretti e Grosso vanno nelle Bermuda, dove incontrano i vertici di una società locale: Kingate. Un incontro tra professionisti, che convince i capi della Fim a fare il passo: firmare un accordo di consulenza e distribuzione ( non esclusiva) del fondo Kingate. Si tratta di un fondo "feeder", che era appena stato creato, di Madoff: un prodotto gestito da lui, per cui la Fim Advisers fa puramente un'attività di distribuzione. Se oggi si cerca di chiedere a Grosso e Ceretti cosa li abbia convinti, loro si trincerano dietro un «no comment». La vicenda ormai è in mano ai legali. Ma se si parla con chi li conosce bene, a Londra, si capisce il motivo: Madoff aveva creato la strategia in apparenza ideale, capace di generare buoni e costanti ritorni con una bassa volatilità. La strategia aveva anche un nome: "split strike conversion". In pratica consisteva nell'acquisto di un'azione e nel contestuale acquisto di un'opzione put e vendita di un'opzione call. Non solo. Madoff era uno dei più grossi market maker fuoriborsa sulle azioni quotate a New York. Aveva inoltre una delle tecnologie di trading più avanzate. Ed era una «brava persona che parlava sempre dei figli», ricorda un investitore. Insomma: era il gestore dei sogni. Oggi sappiamo che la realtà era ben diversa. Però ci hanno creduto in tanti. Non tutti, ma tanti: Madoff aveva almeno mille clienti, tra cui altri fondi "feeder" come Kingate. Saranno gli investigatori a stabilire se tra tutti questi fondi, situati in giro per il mondo, ci siano state delle complicità. Saranno gli investigatori a rispondere alla domanda più difficile: possibile che una persona sola, senza complici, abbia truffato il mondo intero? Da Londra all'Italia Sta di fatto che Fim Advisors ha contribuito a collocare il fondo Kingate, oltre a tanti altri suoi prodotti per fortuna migliori, a investitori istituzionali italiani ed europei. È certo che la società londinese ha avuto almeno due importanti rapporti di consulenza in Italia: uno con Eurizon (ex Sanpaolo e ora Intesa Sanpaolo) e uno con Bipielle Alternative insieme a Bipielle Suisse (ex gruppo Banca Popolare di Lodi). Entrambe le consulenze sono di vecchia data: quella con la Popolare di Lodi risale ai tempi di Gianpiero Fiorani. Entrambe sono state recentemente sciolte, per motivi interni alle due banche. E, per loro fortuna, hanno lasciato poche ferite: Eurizon non aveva mai investito nel fondo Kingate, mentre il Banco Popolare (che ha inglobato la ex Popolare di Lodi) ha una minima esposizione su quel fondo. I dolori per il Banco, infatti, sono arrivati soprattutto dalla svizzera Ubp. C'è poi la famiglia Bassani, quella che vendette nel 1998 alla Popolare di Lodi la Banca Adamas poi diventata Bipielle Suisse. Le indiscrezioni raccolte dal Sole-24 Ore, indicherebbero che i Bassani abbiano investito anni fa qualcosa come 35 milioni di euro in un fondo chiamato Five Balanced Fund. Fim - si dice - era l'advisor. Una parte del fondo (le indiscrezioni indicano 1,75 milioni) era a sua volta investita in Kingate. Se questo investimento sia ancora in piedi è difficile a dirsi. Entrambe le parti (Fim e Bassani), contattate, non dicono nulla. Pare che questo rapporto si sia già chiuso, ma non è possibile averne la certezza. Ma questo, in fondo, conta poco: è solo una piccola storia all'interno di una truffa americana. La stessa Fim Advisors ieri ha comunicato di avere un'esposizione verso i fondi Madoff sul proprio portafoglio di 160 milioni, pari al 5,5-6% delle masse gestite (2,6 miliardi in totale). Sono Grosso e Ceretti le prime vittime della truffa. Che dire: mal comune...

17/12/2008

Documento n.7660

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