DRAGHI-TREMONTI: GALLI NEL POLLAIO – UNO E' MINISTRO DELL’ECONOMIA, L’ALTRO GOVERNATORE BANKITALIA MA NON PERDONO OCCASIONE DI DARSI ADDOSSO......

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TRATTO DA WWW.DAGOSPIA.IT GALLI NEL POLLAIO – UNO è MINISTRO DELL’ECONOMIA, L’ALTRO GOVERNATORE BANKITALIA MA NON PERDONO OCCASIONE DI DARSI ADDOSSO – CRONOLOGIA E dinamiche DI UNa RIVALITà FEROCE - NON AMATI DA SILVIO (IN PRIMIS L’INDIAVOLATO GIULIETTO)… Luca Piana per "L'espresso" Draghi e Tremonti.Il primo vuole mettere un suo uomo nel direttorio di Bankitalia e lavora già per la successione al governatore. Il secondo non lesina critiche al ministro e rintuzza l'assalto alle banche. Il tentativo di tregua è partito venerdì 28 novembre. Dopo settimane di congetture su un intervento a gamba tesa del governo nei confronti dei banchieri, Giulio Tremonti ha presentato uno schema di aiuti al sistema bancario che ai più è apparso all'acqua di rose. Se due settimane prima i toni del ministro dell'Economia erano agguerriti ("Se una banca fallisce i banchieri vanno a casa o in galera", aveva affermato), il testo finale del provvedimento incluso nel pacchetto di misure anti-crisi varato dal governo non dev'essere dispiaciuto troppo a Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia. A meno di sorprese future, il decreto sembra infatti allontanare il rischio di una militarizzazione politica del credito. Se anche chiederà il sostegno pubblico, nessun banchiere sarà costretto a dimettersi, anche se dovrà sottoscrivere un codice di comportamento. Tremonti non potrà piazzare suoi fiduciari ai vertici degli istituti. E gli interessi sui prestiti sottoscritti dal Tesoro non dovranno essere pagati se non ci saranno dividendi da distribuire ai soci. Riassume una fonte che ha partecipato ai lavori: "Il senso del provvedimento è semplice: se una banca ha bisogno di capitale, lo Stato glielo presta a patto di vederselo restituire il più in fretta possibile. È il massimo che si potesse fare, viste le poche risorse disponibili nel bilancio pubblico". Il sistema bancario è stato negli ultimi mesi uno degli argomenti del duello fra il ministro Tremonti e il governatore Draghi. Un confronto la cui intensità varia di settimana in settimana. Alta a inizio ottobre quando, secondo fonti de 'L'espresso', è stato necessario un intervento del premier Silvio Berlusconi per convincere Draghi a partecipare alla presentazione del primo dei tre decreti sulle banche. Apparentemente più contenuta oggi, con il compromesso in via di definizione. Dice Enrico Letta, uno dei pesi massimi del Partito democratico: "Mi sembra quasi inconcepibile che, con la gravità della crisi, le istituzioni possano remare in direzioni opposte. È però divertente vedere due personalità così diverse come Tremonti e Draghi costrette a collaborare: il ministro che fa il difensore del localismo, il governatore aperto alla globalizzazione". A dispetto degli auspici, tuttavia, numerose questioni rischiano di mantenere elevata la tensione fra i due. Fin dalle prime settimane dopo il suo ritorno al governo Tremonti ha tenuto il governatore costantemente nel mirino. A giugno ha bollato come "un'aspirina" le misure che Draghi, in qualità di presidente del Forum che raccoglie le autorità finanziarie internazionali (Financial Stability Forum), aveva appena elaborato per aumentare la trasparenza e la sorveglianza sui mercati tramortiti dalla crisi dei mutui americani. Poi, quando in Parlamento si discuteva la manovra economica e Draghi chiedeva di ridurre la morsa del fisco sul lavoro, Tremonti cancellava gli strumenti voluti dal predecessore Tommaso Padoa-Schioppa per combattere l'evasione, e accusava il governatore di non aver visto per tempo la crisi finanziaria. E l'elenco dei punti caldi comprende le misure utili per superare la recessione, nonché il ruolo della Banca d'Italia come autorità indipendente nella tenuta e nell'analisi dei conti pubblici. Per arrivare alla questione forse più delicata, la tutela dell'autonomia della stessa Banca d'Italia, un terreno di scontro sul quale Tremonti si era già confrontato con l'ex governatore Antonio Fazio, poi travolto dai suoi stessi errori. Ma che ora rimane bollente. Secondo alcune voci, infatti, Tremonti coltiverebbe l'idea di inserire un esterno nel direttorio della banca centrale al posto dell'uscente Antonio Finocchiaro. Fra i nomi circola quello dell'ex numero uno della Cassa Depositi e Prestiti, Salvatore Rebecchini, che la scorsa primavera - secondo quanto risulta a 'L'espresso' - Tremonti aveva candidato alla guida delle Poste. Il tentativo mette Draghi in difficoltà: il governatore ha sempre preferito valorizzare i dirigenti interni, e diversi sono in grado di aspirare a quel posto. Ma in una prospettiva neanche tanto remota è la poltrona di Draghi a interessare il ministro: tra poco più di due anni sarà il governatore a scadere, e per la sua sostituzione appare in corsa un altro grand commis vicino a Tremonti, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli. MANOVRA UNA TANTUM "Sono pochi e vengono dispersi in mille rivoli. Quindi saranno del tutto inefficaci". Così Tito Boeri, economista apprezzato anche negli uffici della Banca d'Italia, ha commentato sul sito Lavoce.info i soldi stanziati una tantum per contrastare la recessione. Le valutazioni di Draghi non sono ancora note e, certamente, risulteranno più articolate. Per capire l'orientamento della Banca centrale sui modi per rilanciare l'economia nazionale, basta però tornare a martedì 25 novembre, tre giorni prima che il governo varasse il pacchetto anti-crisi. Quel giorno Ignazio Visco, uno dei vicedirettori più stimati da Draghi, è andato alla Camera per illustrare le valutazioni dell'istituto sulla riforma del mercato del lavoro. La recessione rende "ancor più pressante la necessità di una profonda ristrutturazione dell'apparato produttivo", ha detto. E se è vero che bassa produttività e stagnazione dei salari sono i mali del sistema Italia, è anche vero che alla diffusione dei contratti flessibili di lavoro "non si è associata all'estensione della copertura degli ammortizzatori sociali". Conclusione: "La spesa per interventi di sostegno a favore dei lavoratori che hanno perso il lavoro resta su livelli molto modesti rispetto agli altri Paesi europei". Problemi che non trovano risposte nel pacchetto anti-crisi. CHI EVADE, CHI PAGA Quando ne ha avuto l'occasione, Draghi ha sempre ammonito i governi sull'ingiustizia che l'evasione fiscale infligge ai lavoratori onesti. Nelle 'Considerazioni finali' lette il 31 maggio 2007 aveva detto che, "a causa del peso dell'evasione, la differenza fra l'Italia e il resto d'Europa è maggiore se si guarda al prelievo sui contribuenti fiscalmente onesti". Messaggio ripetuto pari pari un anno dopo, pochi giorni prima del ritorno di Tremonti al Tesoro. Moniti caduti nel vuoto. Nel giro di poche settimane, infatti, il ministro ha smantellato le misure introdotte per frenare l'evasione. Partendo da questo antefatto è possibile inquadrare il corto circuito scatenatosi il 14 ottobre scorso. Ogni 15 giorni la Banca d'Italia diffonde un bollettino nel quale riclassifica i dati sull'andamento dei conti pubblici. A metà ottobre l'istituto ha reso noti i dati di agosto, che mostravano un rallentamento delle entrate tributarie. L'opposizione ha colto l'occasione al volo, rinfacciando al ministro di essere tornato a favorire gli evasori, come già aveva fatto con i condoni del precedente mandato. E Tremonti è saltato sulla sedia, bacchettando una lettura dei dati "errata" e "concettualmente falsa", additando come causa del rallentamento delle entrate lo spostamento di alcune scadenze per i versamenti. La querelle, tuttavia, è destinata a riproporsi. Gli ultimi dati mostrano che la crescita delle entrate fiscali che aveva caratterizzato il governo Prodi ha iniziato a rallentare davvero, a dispetto del buco nero dell'evasione che è ancora tutto da colmare. Il Nens, centro studi dell'ex viceministro Vincenzo Visco, ha diffuso un'analisi in cui si sostiene che il gettito dell'Iva - una delle imposte più evase - sta calando più rapidamente di quanto sia imputabile alla crisi. Messaggio implicito: gli evasori hanno reagito ai provvedimenti di Tremonti iniziando a pagare di meno. GIÙ LE MANI DALLE BANCHE A inizio ottobre, quando le banche venivano nazionalizzate a raffica negli Stati Uniti e in Europa, anche in Italia a qualcuno è venuta voglia di stringere la presa sul credito o di disarcionare qualche banchiere. Il 21 ottobre, mentre Draghi si recava al Senato per spiegare che, nonostante i capitomboli in Borsa, la capitalizzazione delle maggiori banche era sufficiente e che gli azionisti erano pronti a investirvi "ingenti quantità di capitali", arrivava da Napoli un'inattesa dichiarazione di Berlusconi. Dopo aver citato le difficoltà di Unicredit e di "altre due o tre banche", il premier affermava che, se la crisi si fosse rivelata più grave del previsto, il governo sarebbe entrato negli istituti, anche se "solo con una presenza temporanea e senza diritto di voto". Difficile dire quanto Draghi abbia dovuto faticare nel rintuzzare queste tentazioni e quanto, invece, abbia pesato la debolezza dei conti pubblici. Certo è che, dieci giorni dopo l'esternazione berlusconiana, il governatore si è ritrovato seduto al fianco di Tremonti nel corso della Giornata del Risparmio. E lì non ha concesso nulla: "L'uso delle risorse messe a disposizione dallo Stato" è stato indicato come l'ultima fra le misure utilizzabili dalle banche, dopo le dismissioni, la rinuncia ai dividendi, gli aumenti di capitale. Una difesa che alla fine ha prodotto il terzo decreto governativo, con le tutele previste. Si vedrà ora se le banche che gli analisti reputano più interessate al sostegno del Tesoro (Monte dei Paschi, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare, Popolare Milano) si faranno avanti. Mercoledì 26 novembre il numero due di Draghi, Fabrizio Saccomanni, ha buttato lì che "si sta valutando" la possibilità per gli istituti di calcolare nel loro patrimonio anche le quote detenute nella Banca d'Italia. Un'apertura che fa pensare che nella trattativa con Tremonti sia finita anche la questione, preliminare all'eventuale inserimento in patrimonio, del possesso delle quote. Secondo la riforma decisa proprio da Tremonti nel 2005, entro la fine di quest'anno gli istituti avrebbero dovuto cedere quelle quote, e la Banca d'Italia si è sempre mostrata preoccupata che il cambiamento, con l'eventuale concentrazione delle partecipazioni nelle mani del Tesoro, possa ridurre la sua autonomia: oggi il possesso da parte delle banche ha natura quasi formale, visto che non esercitano alcun diritto sulla guida della banca centrale; ma un domani, con un altro assetto? Il cambio di linea indica forse che, da questo punto di vista, qualcosa si sta muovendo. E che, di fronte alla minaccia di una perdita di autonomia, un compromesso potrebbe saltare fuori.

05/12/2008

Documento n.7635

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