CRISI: DAI SUB PRIME ALLA DISOCCUPAZIONE. IN CINA VENTI MILIONI DI PERSONE TORNANO NELLE CAMPAGNE

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la cina scopre la disoccupazione venti milioni tornano nelle campagne Tratto da www.repubblica.it Il reportage Cina, un esercito di disoccupati in fuga verso le campagne PECHINO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE @FI FIRMA EDITORIALE SX:GIAMPAOLO VISETTI Il primo a vedere la fessura nella diga occupazionale cinese è stato Jin Jiangbo. Ha 36 anni. Non è un economista. Fa il fotografo. Un anno fa, quando ancora Pechino macinava record produttivi, è sceso lungo il delta del fiume delle Perle. Nel Guadong, epicentro mondiale delle esportazioni, ha ripreso fabbriche chiuse, dormitori vuoti, capannoni abbandonati. Un deserto sconosciuto, che lui stesso non capiva. Le sue immagini, all´inizio, sono state censurate. Un anno dopo, ora che la crisi dell´Occidente è maturata anche ad Oriente, quegli scatti profetici sono diventati il simbolo della Cina. Il Paese che produce tutto, a sessant´anni dalla rivoluzione comunista, è minato dalla prima, grande crisi del suo capitalismo. Un esercito di nuovi disoccupati, in fuga dalle città costiere dove stanno chiudendo fino a sette aziende su dieci, torna nei villaggi contadini lasciati negli ultimi vent´anni. Per la terza economia del mondo, che ha appena annunciato il prossimo sorpasso sul Giappone, è uno choc. Oltre venti milioni di ex contadini, emigrati e trasformati in operai, rientrano in famiglia. Il controesodo dei nuovi disoccupati, vittime del più impressionante boom industriale della storia, cambia anche il profilo del paesaggio. Le campagne antiche dell´interno, rimaste prive di servizi, popolate di vecchi, scoppiano e si gonfiano di baracche. I dati ufficiali fissano la disoccupazione al 4,1%. Gli esperti spostano però il livello reale poco sotto il 20. Dietro il cortocircuito cinese, la recessione in America ed Europa. Le esportazioni, a luglio, sono calate del 22,9%. Le importazioni segnano un meno 14,9%. Migliaia di aziende dipendono dall´export fino all´80%. Su 6 milioni di nuovi laureati, 3 milioni sono senza lavoro. I 586 miliardi stanziati dal governo sostengono credito e investimenti. Non bastano però per arrestare i licenziamenti. Nelle fabbriche, in questi giorni, si attendevano gli ordini per i regali di Natale di tutto il mondo. L´ultima spiaggia del 2009: giocattoli, hi-tech, moda. Invece niente. Il consumatore globale aspetta e l´ex coltivatore di riso cinese, che nel frattempo ha ceduto la sua terra, perde il posto. Gli specialisti di flussi migratori si dicono certi: nel sudest asiatico, ma anche in Europa e Africa, con l´autunno la Cina non spedirà merce, ma nuovamente braccia. Nessuno, tra Shanghai e Shenzhen, era preparato a contrastare i tagli delle imprese, privatizzate per il 95% in trent´anni. Le conseguenze sono drammatiche. Milioni di persone, che hanno perso tutto, coprono due o tremila chilometri per rientrare, da sconfitti, in irriconoscibili luoghi d´origine. Nelle fabbriche la tensione sale. Senza straordinari, la paga crolla da 250 a 40 euro al mese. Gli operai non riescono più a spedire soldi a casa, o a pagare gli studi ai figli. Gli anziani, privi di pensione e assistenza medica, perdono la sola fonte per la sussistenza. Entro il 2030, secondo le proiezioni, 320 milioni di ultra sessantacinquenni faranno saltare il nascente welfare made in China. Chiamata dagli Usa a «salvare il mondo», questa nuova Cina dominante inizia così a temere di non riuscire a salvare nemmeno se stessa. Centinaia di sommosse, sfociate in conflitti e omicidi, hanno sconvolto nelle ultime settimane la vita delle aziende. I manager, che fino all´ultimo tacciono fallimenti o fusioni, scelgono la notte per scappare. Per conservare il posto, o per ottenerne uno, i lavoratori sono costretti a pagare i dirigenti che restano. Le assunzioni, ha rivelato ieri il governativo China Daily preannunciando arresti, finiscono anche all´asta per 10 mila yuan. In alcuni casi le imprese chiedono «anticipi retributivi» ai dipendenti, con la promessa di restituirli entro quattro anni. Nelle università, comprese quelle di Pechino, migliaia di laureandi fingono di essere stati assunti per poter discutere la tesi e non essere retrocessi in atenei di provincia. L´ordine del governo è perentorio: le previsioni occupazionali, assai ottimistiche, devono avverarsi. Tra allievi e professori, da gennaio, si registra un boom di suicidi. Liu Wei, laureanda in informatica nello Hebei, ha lasciato un diario. La sua testimonianza, diffusa in internet, è diventata lo specchio del dramma nascosto dalle autorità. «Mi vergogno - si legge - perché i miei hanno fatto grandi sacrifici per non ridurmi a seguire la loro fine. Ora non possono più pagare la mia retta e io non troverò un lavoro per mantenerli». Si è uccisa per 70 euro al mese. Milioni di falsi contratti sarebbero stati scritti con la complicità dei dirigenti comunisti di numerose province. Secondo il partito centrale, la crescita cinese resta all´8%, la produzione industriale di luglio segna un più 11% e l´occupazione nel primo semestre 2009 avrebbe segnato un più 0,13%. Nessuno si fida più di nessuno. La popolazione assiste infatti alla rotta di quella che stava diventando la classe media e al ritorno nel Medioevo agricolo della metropolitanizzata «generazione Ikea». «Non sorprende - dice il Tao Li, docente alla School of Business di Shenzhen - che i dati ufficiali sulla disoccupazione siano ampiamente sottovalutati. Chi perde il lavoro si registra solo per ottenere sussidi pubblici. Ma questi sono limitati, o soggetti a corruzione e clientele politiche. I disoccupati-fantasma sono l´effetto della nuova sfiducia interna cinese». L´incertezza taciuta, del resto, è chiara. Milioni di cause per insolvenza assediano i tribunali. Le banche faticano a recuperare i crediti per immobili e arredi a basso costo. I venti milioni di «nuovi disoccupati cinesi made in Usa» si sommano ai 140 milioni di migranti che lavorano spostandosi di provincia in provincia. Il consumo di energia industriale, in sei mesi, è diminuito del 48%. Anche nella capitale la spesa alimentare, da gennaio, è stata tagliata del 32%. Lo stesso Global Times, voce indiretta del partito comunista, ha riferito ieri che la gente ha reagito «con ironia» alla notizia che i salari urbani sarebbero cresciuti del 13%, fino a 2142 dollari al mese. Alti funzionari pubblici, coperti dall´anonimato, riferiscono di un governo «in forte fibrillazione». Le ondate di disoccupati, per la prima volta, scuotono il potere. Da settimane seminano insoddisfazione e rabbia nella pancia della nazione. Alla vigilia del sessantesimo anniversario dalla rivoluzione di Mao, il primo ottobre, Pechino teme che le sommosse davanti ai cancelli chiusi si saldino con le rivolte etniche finora represse nel sangue. I nuovi disoccupati dello Guangdong, fanno però più paura di uiguri e tibetani. Gli «incidenti di massa», in un anno, sono stati oltre 80 mila. Da minoranza, gli ex operai possono infatti diventare maggioranza e incrinare il trionfante nazionalismo capitalista degli han. Con i colletti bianchi rispediti nei campi, gli intellettuali appesi a «rimborsi spese» a termine, i braccianti affamati dal crollo dei prezzi e i separatisti sempre più infiltrati dall´integralismo religioso, possono formare un blocco sociale difficile da contrastare. «E´ il lavoro - dice Shi Xiao, direttore dell´Osservatorio sociale di Shanghai - il vero nervo scoperto di questo potere. Ha puntato tutto sul denaro, facendo dimenticare al Paese i suoi diritti. Se fallisce sull´occupazione, il partito potrebbe presto sentirsi rivolgere domande sulla democrazia». Preoccupato da ogni forma di contestazione, il generale Meng Guoping ha annunciato un piano per «gestire in modo più efficace sommosse, emergenze e scontri etnici». E´ il primo, a 82 anni dalla fondazione dell´Armata popolare di liberazione. «Viene presentato come lotta al terrorismo - dice l´economista Eric Fishwick - ma la cerchia del presidente Hu Jintao pensa a come gestire i milioni di cinesi che stanno perdendo tutto». Pechino sa che «il futuro è incerto» e che l´economia finanziaria è sfuggita anche dalle sue mani. Per ordine dell´Ufficio nazionale delle statistiche, garante estremo della crescita cinese, si rifugia così nella tradizione poetica. «Sono fiero di essere un mattone nell´edificio occupazionale della repubblica», ha scritto ieri Guo Zhenglan, licenziato di Changping, aderendo alla «campagna di Stato per il lavoro». L´ha superato Yan Qiao, che fino a giugno costruiva sfere con la neve finta per il mercato europeo. «Grazie alla statistica - ha dichiarato - posso riordinare le mie stelle nel cielo della fabbrica». ( Repubblica, La del 12/08/2009 )

12/08/2009

Documento n.8113

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